4 Dicembre 2014

La non imponibilità IVA conseguente alla lettera d’intento

di Marco Peirolo
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La lettera d’intento che l’esportatore abituale consegna al proprio fornitore vincola quest’ultimo all’applicazione della non imponibilità di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 anche quando l’operazione, senza dichiarazione d’intento, beneficerebbe di un diverso titolo di non imponibilità, come quello previsto per le cessioni in triangolazione.

Si consideri l’ipotesi in cui l’impresa italiana vende i beni ad un’altra impresa italiana con destinazione della merce in altro Paese membro dell’Unione europea.

In linea di principio, se il trasporto/spedizione dei beni nel Paese comunitario di destinazione avviene “a cura o a nome del cedente”, la cessione interna si considera non imponibile ai sensi dell’art. 58 del D.L. n. 331/1993, mentre la seconda cessione, posta in essere dal cessionario nazionale, è una “normale” cessione intracomunitaria, che deve essere fatturata come non imponibile ex art. 41 del D.L. n. 331/1993. Entrambe le operazioni concorrono a formare il plafond e sono rilevanti ai fini dell’acquisizione dello status di esportatore abituale (circolare dell’Agenzia delle Dogane 27 febbraio 2003, n. 8, § 2).

L’indicato trattamento IVA non cambia se i beni sono trasportati/spediti in altro Paese membro non già in esecuzione di una vendita compiuta dal cessionario italiano, ma a seguito di un trasferimento “senza vendita” assimilato, però, alle cessioni intracomunitarie ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993 (si pensi al caso in cui i beni siano trasferiti allo stabilimento estero dell’operatore nazionale).

L’agevolazione prevista per lo schema della triangolazione non ha carattere oggettivo, non essendo applicabile quando il cessionario italiano è un esportatore abituale che ha consegnato la lettera d’intento al proprio fornitore, unitamente – secondo la novità prevista dal decreto sulle semplificazioni fiscali – alla ricevuta di presentazione rilasciata dall’Agenzia delle Entrate. A quest’ultimo riguardo, si ricorda che, per le lettere d’intento relative alle operazioni che saranno effettuate senza addebito d’imposta a decorrere dal 1° gennaio 2015, il riformulato art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983 stabilisce che sia l’esportatore abituale, anziché il suo fornitore, ad informare l’Amministrazione finanziaria dell’intenzione di effettuare acquisti di beni e servizi, nonché importazioni, senza applicazione dell’imposta.

È, viceversa, la qualifica di esportatore abituale che, secondo la normativa italiana, riveste carattere oggettivo, quando invece l’art. 164 della Direttiva n. 2006/112/CE – corrispondente all’art. 16, par. 2, dell’abrogata VI Direttiva CEE – subordina la detassazione del singolo bene/servizio alla sua specifica destinazione. L’esenzione presuppone, infatti, che i beni siano oggetto di esportazione o di cessione intracomunitaria e che i servizi siano riconducibili all’attività diretta all’estero dell’esportatore abituale.

Tale specifico vincolo di destinazione dei beni/servizi era previsto nella legislazione nazionale in vigore fino al 13 marzo 1997, posto che l’art. 8, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, nel testo all’epoca vigente, qualificava come cessioni all’esportazione, non imponibili IVA, “le cessioni di beni fatte, anche tramite commissionari, ad un soggetto che intenda esportarli o destinarli a cessioni intracomunitarie, anche tramite commissionari, nello stato originario o previa trasformazione, lavorazione, montaggio e simili, nonché le prestazioni di servizi inerenti alla trasformazione, lavorazione, montaggio e ogni altra prestazione di servizi inerente all’attività di esportazione o a quella diretta a scambi intracomunitari, rese da terzi al soggetto medesimo (…)”.

A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 2 della L. n. 28/1997, in vigore dal 14 marzo 1997, la non imponibilità è riconosciuta per “le cessioni, anche tramite commissionari, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, e le prestazioni di servizi (…)”; l’agevolazione ha pertanto assunto natura oggettiva, applicandosi indipendentemente dalla destinazione dei beni/servizi acquistati dall’esportatore abituale, il quale ha diritto alla non imponibilità in dipendenza dello status posseduto.

In pratica, nella disciplina previgente, gli acquisti compiuti dall’esportatore abituale avvenivano in sospensione d’imposta siccome la non imponibilità applicata in fattura era condizionata alla specifica destinazione dei beni/servizi acquistati; nella disciplina attualmente vigente, invece, l’esportatore abituale ha diritto di acquistare i beni/servizi senza applicazione d’imposta in quanto l’agevolazione è riconosciuta in funzione della sola qualifica dell’acquirente. A conferma di questa conclusione, possono richiamarsi le indicazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria nella C.M. 10 giugno 1998, n. 145/E (§ 7), secondo cui l’utilizzo del plafond, a seguito delle modifiche operate dalla citata L. n. 28/1997, è stato esteso “a tutti gli acquisti di beni e servizi ed importazioni di beni con la sola esclusione dei fabbricati e delle aree edificabili”; inoltre, “poiché nelle attuali disposizioni non si riscontra più alcun riferimento all’intento, da parte dell’operatore economico, di esportare i beni o di inviarli in altro Stato comunitario, ne consegue che, rispetto al passato, l’agevolazione si rende applicabile anche ai beni ammortizzabili, ai beni acquisiti in leasing ed all’acquisto delle spese generali, a nulla rilevando, per queste ultime, la loro inerenza o meno con l’attività agevolata”.

Per le considerazioni esposte, il diverso orientamento della giurisprudenza di legittimità, che esclude la non imponibilità per i beni non oggettivamente destinati all’estero (Cass., 20 giugno 2014, n. 14072), appare opinabile al di fuori dei casi di frode.