17 Febbraio 2015

La nota di variazione per il recupero dell’IVA sulle operazioni inesistenti

di Marco Peirolo
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In base all’art. 203 della Direttiva n. 2006/112/CE, “l’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”.

Più nel dettaglio, l’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che, “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.

Tale previsione deve essere coordinata con quella dell’art. 26, comma 3, del D.P.R. n. 633/1972, ove è stabilito che il cedente/prestatore, entro il termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione (imponibile) originaria, può attivare la procedura di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta per rettificare le “inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo all’applicazione del settimo comma dell’art. 21”.

Sul punto, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che la nota di variazione è ammessa solo in caso di “errori materiali commessi in sede di fatturazione”, dovendosi ritenere esclusa “nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti” (C.M. 10.01.1974, n. 3/500025).

Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel presupposto che l’emissione di fatture per operazioni inesistenti sia imputabile ad un comportamento doloso, penalmente rilevante ai sensi degli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000, in quanto caratterizzato dalla volontà del contribuente di evadere l’imposta o di consentirlo a terzi (cd. “dolo specifico di evasione”).

L’imposta acquisita dall’Erario costituisce, pertanto, una sanzione atipica ed indiretta, siccome giustificata dalla sola rappresentazione documentale delle operazioni inesistenti.

In considerazione della natura “speciale” dell’art. 21, comma 7, del D.P.R. n. 633/1972, è stato affermato che “la norma – come incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta (non già, secondo i principi generali, in base all’operazione realmente effettuata, ma) sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità – così incide indirettamente, in combinato disposto con gli artt. 19, comma 1, e 26, comma 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’«acquisto» (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” (Cass., 10.06.2005, n. 12353).

In argomento, la Corte di Giustizia ha stabilito che l’esercizio del diritto di detrazione contemplato dalla normativa comunitaria deve limitarsi alle sole imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta ad Iva e non si estende all’imposta addebitata solo perché indicata in fattura (sent. 13.12.1989, causa C-342/87, Genius Holding).

Nella pronuncia in esame, è stato anche affermato che, “per garantire l’applicazione di questo principio spetta agli Stati membri contemplare nei rispettivi ordinamenti giuridici interni la possibilità di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede”.

Dato che le operazioni inesistenti sono imputabili al comportamento doloso del contribuente, sembrerebbe corretto ritenere che la procedura di variazione sia vietata.

Occorre, tuttavia, osservare che la Corte di Giustizia, nella sentenza di cui alla causa C-454/98 del 19.09.2000 (Schmeink & Cofreth e Strobel), è giunta ad una diversa conclusione nel caso in cui il cessionario/committente non abbia detratto l’imposta addebitata nella fattura originaria o, in caso contrario, abbia già provveduto alla relativa rettifica.

Nella situazione considerata, in cui risulta eliminato completamente il rischio di perdita di entrate fiscali, i giudici comunitari hanno, infatti, ritenuto applicabile la procedura di variazione, affermando, in particolare, che “il principio della neutralità dell’IVA richiede che l’IVA indebitamente fatturata possa essere regolarizzata, senza che una tale regolarizzazione possa essere subordinata dagli Stati membri alla buona fede di chi ha emesso tale fattura”.

In definitiva, le operazioni inesistenti, anche ove caratterizzate dal dolo specifico di evasione, dovrebbero consentire al cedente/prestatore di recuperare l’imposta addebitata in fattura se il cessionario/committente non l’ha portata in detrazione o, in caso contrario, abbia provveduto alla rettifica.