La notifica del pignoramento equivale alla notifica della cartella di pagamento
di Fabio CampanellaLa notifica del pignoramento presso terzi è equipollente alla notifica della cartella di pagamento a esso presupposta e pertanto, in caso di mancata notifica della cartella, va impugnato il pignoramento lamentando il vizio di notifica dell’atto presupposto ex articolo 19, comma 1, lettera d), D.Lgs. 546/1992; in mancanza, non potrà più essere contestata giudizialmente la cartella di pagamento, anche unitamente a un successivo atto notificato a essa conseguente.
Premessa
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32671/2024, ha chiarito che la notifica di un pignoramento presso terzi è equipollente alla notificazione della cartella di pagamento su cui esso è fondato che non sia stata precedentemente notificata al debitore e, per l’effetto, la mancata impugnazione del pignoramento comporta la definitività della cartella, che non potrà più essere contestata in futuro unitamente all’impugnazione di un nuovo atto di intimazione di pagamento su di essa fondato.
I fatti di causa
La questione sottoposta al vaglio di legittimità della Corte prende le mosse da una cartella di pagamento emessa per imposta di registro, imposta di bollo, spese di giustizia e altri accessori derivanti da una sentenza penale della Corte d’Appello di Genova.
Il contribuente ha impugnato dinanzi al competente giudice tributario di I grado la cartella di pagamento non notificata, unitamente all’intimazione di pagamento ricevuta. I giudici di I grado hanno dichiarato il ricorso introduttivo inammissibile sul presupposto che la cartella per cui era causa – ancorché non dimostrato che fosse stata effettivamente notificata – non era stata impugnata tempestivamente nell’occasione della notifica di un precedente pignoramento presso terzi, del quale costituiva il presupposto necessario, e per l’effetto i vizi relativi alla stessa cartella di pagamento non potevano più essere fatti valere in seguito, in occasione dell’impugnazione di una successiva intimazione di pagamento sempre sulla stessa fondata.
I giudici dell’allora CTR Liguria hanno respinto l’appello del contribuente confermando la sentenza dei giudici di prime cure.
Il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione impugnando la sentenza di appello con 7 diversi motivi di legittimità, tutti attinenti all’equiparabilità della notifica del pignoramento presso terzi alla notifica della cartella di pagamento; il Supremo Collegio, in ragione della stretta e intima connessione di tutti i motivi, ha deciso di trattarli congiuntamente.
La disciplina applicabile
Ai fini dell’esame della sentenza in commento, si può ridurre l’articolato quadro normativo applicabile all’ipotesi disciplinata dall’articolo 140, c.p.c., visto che lo stesso Supremo Collegio da atto che “è pacifico … che la cartella di pagamento … non risulta essere stata notificata alla contribuente “per l’omessa produzione dell’avviso di ricevimento necessario per l’integrazione della procedura ex articolo 140 c.p.c.””.
In particolare, l’articolo 26, comma 3, D.P.R. 602/1973 prevede che “nei casi previsti dall’articolo 140, del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si effettua con le modalità stabilite dall’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune”.
L’articolo 140, c.p.c. disciplina gli incombenti da eseguire nel caso di irreperibilità o rifiuto a ricevere la notifica e così prevede: “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.
L’articolo 60, D.P.R. 600/1973, tuttavia, prevede una procedura semplificata qualora nel Comune di notificazione non vi sia alcun legame con il contribuente, prescrivendo che “la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente è eseguita secondo le norme stabilite dagli articoli 137 e seguiti del codice di procedura civile, con le seguenti modifiche: … e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’articolo 140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune, e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”, escludendo quindi l’obbligo dell’affissione dell’avviso alla porta e l’invio della raccomandata in quanto impossibile da eseguire.
Nel caso di notifica postale, di contro, l’articolo 8, L. 890/1982 prevede: “se le persone abilitate a ricevere il piego in luogo del destinatario rifiutano di riceverlo, ovvero se l’operatore postale non può recapitarlo per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, il piego è depositato entro due giorni lavorativi dal giorno del tentativo di notifica presso il punto di deposito più vicino al destinatario. … Del tentativo di notifica del piego e del suo deposito è data notizia al destinatario, a cura dell’operatore postale, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda”.
L’interpretazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione
La Cassazione con la sentenza n. 10012/2021 a Sezioni Unite ha chiarito che in tema di notifica di un atto impositivo ovvero processuale tramite servizio postale, qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per sua temporanea assenza ovvero per assenza o inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento del procedimento notificatorio può essere data dal notificante – in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata (articoli 24 e 111, comma 2, Costituzione) dell’articolo 8, L. 890/1982 – esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito (c.d. CAD), non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della suddetta raccomandata informativa.
Precedentemente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25079/2014 aveva chiarito che in tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità c.d. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2012 relativa all’articolo 26, comma 3 (ora 4), D.P.R. 602/1973, va applicato l’articolo 140, c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato articolo 26, ultimo comma, e dell’articolo 60, comma 1, alinea, D.P.R. 600/1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione (si veda anche, tra le altre, l’ordinanza n. 9782/2018).
Decisione della Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 32671/2024
Il Supremo Collegio, nel risolvere la questione sottoposta al vaglio di legittimità ha adottato il seguente principio di diritto: “in tema di processo tributario, il contribuente che lamenti l’inesistenza, la mancanza o la nullità della notifica della cartella di pagamento deve proporre impugnazione ex articolo 19, comma 1, lettera d, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (in funzione di opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c.) avverso l’atto di pignoramento presso terzi di cui lo stesso abbia ricevuto la notifica, avendo quest’ultima valore equipollente ad una valida notifica della cartella di pagamento, della quale il contribuente è messo in condizione di conoscere l’esistenza e di esercitare il diritto di impugnazione; pertanto, dopo il decorso del termine di decadenza ex articolo 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dalla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi, l’eventuale impugnazione ex articolo 19, comma 1, lettera e, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (sempre in funzione di opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617 c.p.c.) della successiva intimazione di pagamento non può attingere anche vizi inerenti alla notifica della prodromica cartella di pagamento”.
Il Collegio ha chiarito, altresì, che dalla notificazione dell’atto di pignoramento decorre il termine decadenziale di impugnazione sia per il pignoramento stesso sia per l’atto presupposto/titolo esecutivo su cui esso è fondato che, dalla notificazione del pignoramento, è legalmente conosciuto anche in ipotesi di precedente difetto di notifica del titolo esecutivo stesso.
I giudici di legittimità specificano che l’impugnazione del titolo esecutivo – cartella di pagamento nel caso in esame – sarebbe potuta essere stata proposta in sede di opposizione agli atti esecutivi ex articolo 617, c.p.c., in opposizione all’atto di pignoramento presso terzi notificato; la mancata impugnazione della cartella comporterebbe la conseguente stabilizzazione del titolo esecutivo che non risulterebbe successivamente impugnabile sia in relazione alla pretesa tributaria di merito dalla stessa avanzata, sia in relazione a profili di legittimità e procedurali connessi come, ad esempio, quelli relativi alla prescrizione del credito.
I giudici, poi, hanno richiamato un consolidato orientamento di legittimità secondo cui in ambito di riscossione delle imposte, il corretto rispetto della procedura di formazione della pretesa tributaria è garantita dall’osservanza puntuale delle varie fasi procedimentali previste dalla legge – compresa la fase notificatoria – allo scopo di garantire un effettivo esercizio del diritto di difesa del contribuente, con la conseguenza che un’eventuale omissione procedimentale comporterebbe un vizio sanzionato con la nullità dell’atto conseguenziale notificato. Detta nullità potrebbe essere fatta valere dal contribuente, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992, mediante un’impugnazione del solo atto conseguenziale notificato, facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto oppure, in alternativa, con un’impugnazione cumulativa dell’atto conseguenziale notificato e di quello presupposto non notificato, contestando radicalmente la pretesa tributaria avanzata; ne deriverebbe che il giudice di merito investito dalla domanda dovrà, nel primo caso verificare solo la sussistenza del difetto di notifica lamentata al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto conseguenziale notificato mentre, nella seconda ipotesi, la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza o meno dell’intera pretesa.
Sul punto il Supremo Collegio già con l’ordinanza n. 1144/2018 aveva affermato che in materia di riscossione delle imposte, atteso che la correttezza del procedimento di formazione della pretesa tributaria è assicurata mediante il rispetto di una sequenza procedimentale di determinati atti, con le relative notificazioni, allo scopo di rendere possibile un efficace esercizio del diritto di difesa del destinatario, l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato. Poiché tale nullità può essere fatta valere dal contribuente mediante la scelta, consentita dall’articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992, di impugnare solo l’atto consequenziale notificatogli (avviso di mora, cartella di pagamento, avviso di liquidazione), facendo valere il vizio derivante dall’omessa notifica dell’atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto (nell’ordine, cartella di pagamento, avviso di accertamento o avviso di liquidazione) non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest’ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria spetterà al giudice di merito, interpretando la domanda, verificare la scelta compiuta dal contribuente, con la conseguenza che, nel primo caso, dovrà verificare solo la sussistenza o meno del difetto di notifica al fine di pronunciarsi sulla nullità dell’atto consequenziale (con eventuale estinzione della pretesa tributaria a seconda se i termini di decadenza siano o meno decorsi), nel secondo la pronuncia dovrà riguardare l’esistenza, o no, di tale pretesa[1].
Il Collegio, infine, non ha mancato l’occasione di precisare che in relazione all’enunciato di “mancata notificazione” contenuto nell’ultimo periodo del richiamato comma 3, articolo 19, D.Lgs. 546/1992, lo stesso può essere interpretato come ricomprendente diverse fattispecie fattuali, quali il caso di totale omissione di qualsiasi attività notificatoria, il caso di attività notificatoria eseguita ma affetta da vizi tali da essere qualificata come inesistente (e quindi insanabile) oppure il caso di notificazione effettuata con vizi tali da essere considerata affetta da nullità che, tuttavia in alcune ipotesi, potrebbe essere comunque valutata idonea al raggiungimento dello scopo e quindi non essere colpita da declaratoria di nullità ai sensi dell’articolo 156, comma 3, c.p.c.; ne consegue che al fine della configurabilità dell’ipotesi di “mancata notificazione” del citato articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992, assume rilevanza certamente la fattispecie di mancanza e di inesistenza della notifica, mentre l’ipotesi di nullità rileverebbe solo nel caso di mancato raggiungimento dello scopo della notifica.
Opposizione agli atti esecutivi con giurisdizione tributaria
I giudici di legittimità hanno chiarito, poi, che l’azione di opposizione agli atti esecutivi da proporre nel corso dell’esecuzione forzata tributaria avverso l’atto di pignoramento – che si assume viziato per l’omessa o invalida notifica della cartella di pagamento o comunque del relativo atto presupposto – va proposta davanti al giudice tributario, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, secondo periodo e articolo 19, D.Lgs. 546/1992; dell’articolo 57, D.P.R. 602/1973 e dell’articolo 617, c.p.c., in quanto il pignoramento non essendo stato preceduto dalla notifica dell’atto prodromico – ad esempio la cartella di pagamento – va considerato come primo atto mediante il quale si manifesta al contribuente la richiesta di pagamento e la volontà di procedere alla riscossione di quel ben determinato credito; esso pertanto è idoneo a far sorgere nel contribuente l’interesse ad agire previsto dall’articolo 100, c.p.c. e va considerato come atto impugnabile dinanzi al giudice tributario in forza del citato articolo 19, D.Lgs. 546/1992. Per l’effetto il contribuente, dopo aver ricevuto la notifica del pignoramento, può – o meglio deve – far valere l’omissione della notifica dell’atto presupposto dinanzi al giudice tributario in sede di opposizione agli atti esecutivi, fermo restando che l’azione da incardinare non deve seguire il modello processuale dell’articolo 617, c.p.c. ma l’ordinario modello processuale tributario previsto e regolato dal D.Lgs. 546/1992, al quale in questa sede si può tuttavia riconoscere la medesima funzione della procedura ex articolo 617, c.p.c..
Sul punto si sono già espresse le Sezioni Unite della Cassazione con l’ordinanza n. 7822/2020, chiarendo che in tema di controversie su atti di riscossione coattiva di entrate di natura tributaria (nella specie, ordine di pagamento diretto ex articolo 72-bis, D.P.R. 602/1973), il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria va così individuato: alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa tributaria (inclusi i fatti costitutivi, modificativi o impeditivi di essa in senso sostanziale) che si assumano verificati fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, in caso di notificazione omessa, inesistente o nulla degli atti prodromici; alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione sulle questioni di legittimità formale dell’atto esecutivo come tale (a prescindere dalla esistenza o dalla validità della notifica degli atti ad esso prodromici) nonché sui fatti incidenti in senso sostanziale sulla pretesa tributaria, successivi all’epoca della valida notifica della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento; e ancora, la tutela avverso atti esecutivi (nella specie, ordine di pagamento diretto ex articolo 72-bis, D.P.R. 602/1973) esperibile innanzi gli organi di giurisdizione tributaria integra un normale giudizio impugnatorio ex articolo 19, comma 3, D.Lgs. 546/1992 (e non già un’opposizione esecutiva), da introdurre con le forme tipiche di detto giudizio.
Già in precedenza le Sezioni Unite avevano chiarito con la sentenza n. 13913/2017 che l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi dell’articolo 2, comma 1 e articolo 19, D.Lgs. 546/1992; articolo 57, D.P.R. 602/1973 e articolo 617, c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario; sempre le Sezioni Unite hanno successivamente ribadito con l’ordinanza n. 17126/2018 che in materia di esecuzione forzata, sussiste la giurisdizione del giudice tributario nel caso di opposizione riguardante l’atto di precetto che si assume viziato per l’omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento di natura tributaria (o degli altri atti presupposti); mentre la Cassazione, V sezione, con la sentenza n. 32203/2019 ha riaffermato che il pignoramento del credito presso terzi ex articolo 72-bis, D.P.R. 602/1973 è una forma speciale di esecuzione, con procedimento semplificato interamente stragiudiziale, che non prevede l’intervento del giudice dell’esecuzione se al comando segue l’adempimento del terzo pignorato, il quale ha immediato effetto satisfattivo del credito. Pertanto, la conseguente opposizione agli atti esecutivi, avverso l’atto di pignoramento asseritamente viziato per omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o di altro atto prodromico al pignoramento), è ammissibile e va proposta – ai sensi degli articoli 2, comma 1, e 19, D.Lgs. 546/1992, 57, D.P.R. 602/1973 e 617, c.p.c. – davanti al giudice tributario, risolvendosi nell’impugnazione del primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario[2].
Motivazione della cartella e degli atti conseguenti
I giudici di legittimità, in via incidentale rispetto al centrale motivo alla base della sentenza in esame, hanno colto l’occasione per richiamare un precedente orientamento delle Sezioni Unite inerente l’obbligo di motivazione della cartella di pagamento e in generale degli atti della procedura di recupero forzata in ambito tributario.
In particolare è stato ricordato che la cartella di pagamento nel caso segua un precedente atto impositivo congruamente motivato in relazione all’imposta e agli interessi, vada considerata come motivata con il semplice richiamo all’atto precedentemente notificato; mentre, nel caso costituisca il primo atto riguardante la pretesa per gli interessi, per il rispetto dell’obbligo motivazionale deve contenere, oltre all’importo richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati e la decorrenza degli stessi. Detta specifica motivazione, in ogni caso, secondo i giudici di legittimità può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione della tipologia e natura degli interessi richiesti ovvero dal tipo di tributo a cui sono riferiti e, relativamente alla decorrenza, non è neppure ritenuta essenziale l’indicazione dei singoli saggi d’interesse periodicamente applicati e le modalità di calcolo.
Le Sezioni Unite, infatti, avevano chiarito con la sentenza n. 22281/2022 che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’articolo 7, L. 212/2000 e dall’articolo 3, L. 241/1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo.
[1] Si vedano, altresì, Cassazione n. 9585/2019, n. 13106/2020, n. 10012/2021, n. 14292/2021, n. 25535/2021, n. 38548/2021, n. 12832/2022 e n. 23518/2024.
[2] Si vedano anche Cassazione n. 11481/2018, n. 31484/2019, n. 31485/2019 e n. 31486/2019, n. 21642/2021, n. 25453/2021 e n. 22754/2024.




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