La nuova chiusura del fallimento – II° parte
di Andrea RossiAttesa la complessità interpretativa del nuovo articolo 118 L.F., il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha emesso un documento lo scorso mese di giugno in cui sono fornite delle preziose indicazioni circa gli obblighi di cancellazione dal Registro imprese delle società fallite in pendenza di giudizi, che sono stati approfonditi in un precedente contributo mentre nel presente articolo saranno trattate le tematiche fiscali (in primis relativamente alle imposte dirette) conseguenti all’applicazione del nuovo articolo 118 L.F..
Innanzitutto è opportuno precisare come sia difficile la convivenza fra le disposizioni fallimentari e quelle tributarie stante il fatto che non esiste una disciplina armonizzata della fiscalità delle procedure concorsuali, ma semplicemente vi sono disposizioni speciali all’interno della normativa generale; inoltre la persistente contrapposizione di interessi tra l’Erario e la legge fallimentare rileva una difficile convivenza che deve quindi trovare una soluzione nell’interpretazione il più possibile sistematica della normativa vigente.
E proprio la chiusura del fallimento con giudizi ancora pendenti rappresenta l’esempio più attuale del mancato coordinamento delle due normative, stante le importanti conseguenze fiscali sia in tema di imposte dirette, sia di Iva, che di ritenute di acconto.
Innanzitutto si ritiene opportuno precisare che con il fallimento non sorge un nuovo soggetto d’imposta, ma la soggettività passiva tributaria rimane sempre in capo al debitore il quale continuerà a detenere i beni al fine di gestirli e porli in vendita per soddisfare i creditori concorsuali; pertanto, il soggetto fallito viene semplicemente privato della disponibilità degli stessi beni, ed il potere di amministrarli viene passato al curatore nel rispetto della legge fallimentare.
Nel caso in cui in corso di procedura sorga della materia imponibile, per le persone giuridiche, il curatore procede anche al versamento delle eventuali imposte relative, mentre per le persone fisiche, il debito tributario dovrà essere indicato nella dichiarazione personale del fallito; pertanto, laddove dovessimo chiudere un fallimento pur in presenza di giudizi pendenti, ai sensi del novellato articolo 118 L.F. potrebbe:
- sorgere un surplus rispetto alla situazione patrimoniale di chiusura del fallimento (normalmente pari a “zero”) che garantirebbe al fallimento stesso la possibilità di pagare tutti i debiti e restituire al fallito una parte del patrimonio sociale; si tratta di una situazione residuale (ma teoricamente possibile) che comporterebbe la tassazione ex articolo 183, comma 2, Tuir di tale maggior valore a carico della procedura;
- sorgere una sopravvenienza passiva che influenzi il debito fiscale a causa di una riduzione del residuo attivo; in tale ipotesi si avrebbe una riduzione della tassazione (pari al minor valore) a carico della procedura, ex articolo 183, comma 2, Tuir;
- sorgere una sopravvenienza attiva o passiva che non influenza, in considerazione del relativo ammontare, la liquidazione delle imposte intervenuta con la dichiarazione finale relativa alla chiusura del fallimento. In tale caso non sorgerebbe alcun dovere a carico del curatore.
Come approfondito in un precedente contributo, l’articolo 120, comma 5, L.F. prevede la cessazione dell’attività del curatore, tranne nei casi in cui ricorrano le condizioni descritte nell’articolo 118, comma 2, terzo periodo, L.F., al verificarsi delle quali il curatore rimane in carica “ai soli fini di quanto ivi previsto”; pertanto, in siffatto contesto normativo, ci si deve chiedere quali siano gli effetti sugli adempimenti fiscali che deve svolgere il curatore nell’ambito della procedura fallimentare sostanzialmente chiusa. Il tema è stato affrontato dall’Agenzia delle Entrate (DRE Veneto del 25.3.2016, ma nello stesso senso vi sono anche delle risposte rese dalla Direzione Centrale) secondo la quale la cancellazione della società fallita dal Registro delle imprese può essere effettuata senza procedere con la cancellazione anche del codice fiscale; tale soluzione permetterebbe di mantenere in vita una società solamente dal punto di vista fiscale successivamente alla presentazione della dichiarazione dei redditi.
Stante la complessità della norma, causata principalmente dal mancato coordinamento della normativa fiscale e fallimentare, al fine di assolvere agli obblighi fiscali secondo le regole ordinarie, si ritiene che il curatore possa presentare istanza affinché, pur al ricorrere delle condizioni previste dall’articolo 118, comma 2, n. 3, L.F., possa essere autorizzato, a non procedere con la cancellazione della società, del conto corrente del fallimento e della relativa partita Iva, in attesa che si perfezionino i giudizi pendenti; in questo senso si è espressa anche la Sezione fallimentare del Tribunale di Milano, con la circolare dell’11 aprile 2017.