La nuova stagione delle azioni cautelari
di Andrea RamoniLuigi A. M. RossiCome noto, l’articolo 83, comma 1, D.L. 18/2020 (Decreto Cura Italia) ha previsto la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali (nonché tributari, in forza del comma 21 che ne estende l’applicazione), per il periodo intercorrente dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020.
Per espressa previsione dell’articolo 36 del successivo D.L. 23/2020 (Decreto Liquidità), detto ultimo termine è stato ulteriormente prorogato all’11 maggio 2020.
All’applicazione di tale principio sfuggono talune eccezioni, tra le quali sono contemplati i procedimenti di natura cautelare.
Se molto si è dibattuto in ordine alle misure contenute nell’articolo 47, 52 e 62-bis D.Lgs. 546/1992, ovvero alle istanze di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’atto, rispettivamente in pendenza di ricorso in primo e secondo grado di giudizio, nonché in quello di legittimità, meno si è approfondita la procedura di cui all’articolo 22 D.Lgs. 472/1997. Tuttavia, la vicenda riveste particolare interesse, per la rilevanza che la riforma intervenuta nel 2018 ne ha attribuito. Ma andiamo per gradi.
La norma in questione disciplina un particolare procedimento cautelare, che consente, al verificarsi delle rigide condizioni ivi contenute, l’attivazione delle misure di cui all’articolo 86 D.P.R. 602/1973 ed articolo 671 c.p.c. Più precisamente, a mente del comma 1, primo inciso, “In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda”.
Si tratta di quelle che definiamo azioni cautelari, attivabili dall’ente creditore, per tenerle distinte dalle misure cautelari, poste invece nella disponibilità del concessionario della riscossione, il quale – una volta ricevuto il carico – può, in totale autonomia e salve le comunicazioni di rito, iscrivere fermo sui beni mobili registrati del contribuente ed ipoteca, ai sensi degli articoli 77 e 86 D.P.R. 602/1973.
La principale differenza tra le due fattispecie, ictu oculi evidente, consiste dunque nell’obbligo, da parte dell’ente impositore, di chiedere autorizzazione al giudice tributario per l’attivazione dell’azione cautelare, in ragione delle garanzie che, in questa fase, devono comunque essere riservate al contribuente.
La norma trova, infatti, applicazione sin dalla fase endoprocedimentale in cui nessun atto di contestazione risulta ancora emesso, con ciò legittimando l’azione cautelare dell’Ufficio anche in presenza di un solo processo verbale di constatazione: atto non impositivo e, soprattutto, non impugnabile.
Di fatto, il procedimento in commento sopperisce, per così dire, ai limiti dell’attività del concessionario della riscossione, ovvero l’essere spesso tardiva rispetto all’evidenza del periculum, stante il tempo che intercorre tra la verifica fiscale e la presa in carico a seguito dell’emissione dell’avviso di accertamento.
È agevole osservare come – ormai da tempo, sollecitato dalle relazioni annuali della Corte dei Conti – il legislatore si sia accorto che la tempestività dell’azione esecutiva rappresenta una leva di successo per il recupero del gettito sottratto all’Erario. Nota a tutti è la riforma introdotta con l’articolo 29 D.L. 78/2010, il quale ha previsto la “concentrazione della riscossione nell’accertamento”.
Più in sordina, invece, è passata la comunque rilevante modifica introdotta dall’articolo 16-septies D.L. 119/2018, con il quale il legislatore ha inteso dare nuova linfa alle azioni cautelari, estendendo i poteri riconosciuti all’Agenzia delle Entrate alla Guardia di Finanza, tramite l’inserimento dei commi 1-bis e 1-ter nell’articolo 22 D.Lgs. 472/1997, che oggi così recita: “Al fine di rafforzare le misure poste a garanzia del credito erariale e a sostegno delle relative procedure di riscossione, le istanze di cui al comma 1 possono essere inoltrate dal comandante provinciale della Guardia di finanza, in relazione ai processi verbali di constatazione rilasciati dai reparti dipendenti (…)”. Difficile ipotizzare che dietro tale scelta non vi fosse l’intenzione di estendere, in maniera più che concreta, l’ambito di applicazione della norma.
Si osservi, peraltro, come già antecedentemente al D.L. 119/2018, che la stessa Guardia di Finanza, nel regolamentare la prassi interna ai reparti, disponeva che “la proposta di adozione delle misure cautelari” (da intendersi azioni cautelari, secondo la definizione contenuta nel presente contributo), poteva essere formalizzata, all’ente creditore, al ricorrere di rilievi che comportino complessivamente una maggiore imposta superiore a 120.000 euro o ritenute non operate in misure superiore a 60.000 euro (cfr. Circolare Comando Generale – III Reparto n. 104496/10 in data 7 aprile e circolare n. 1/2018). Limiti che paiono, invero, non particolarmente elevati.
Ciò posto, si ricorda che il procedimento in parola prevede, oltre ad un’interlocuzione istruttoria tra Guardia di Finanza e Agenzia delle Entrate, un’attività di difesa dai tempi più serrati, dovendo il contribuente depositare memorie e documenti difensivi entro venti giorni dalla notifica dell’istanza introduttiva.
Nel caso in cui il giudice tributario dovesse cogliere le ragioni dell’attore, il provvedimento cautelare perde comunque efficacia (i) se non eseguito nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, (ii) se nel termine di centoventi giorni dalla sua adozione non viene notificato l’atto impositivo, di contestazione o di irrogazione della sanzione oppure (iii) a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso avverso l’atto tipico impugnato dal contribuente.
Considerato che i tempi che ci aspettano interesseranno anni di imposta “pre-Covid”, ma portafogli e patrimoni di contribuenti pesantemente segnati dalle sue conseguenze economiche, occorrerà prendere dimestichezza con tali regole particolari.