24 Febbraio 2022

La pesante compliance del trust estero

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

La residenza fiscale del trust è questione che generalmente non crea particolari dubbi applicativi.

Infatti, tralasciando il caso del trust con esclusivamente un compendio immobiliare italiano che potrebbe essere attratto a tassazione come residente in ragione dell’ubicazione dell’oggetto dell’attività, la residenza è generalmente legata al luogo in cui lo stesso viene gestito dal trustee e, quindi, prima facie, nel Paese di residenza del trustee.

Possiamo, quindi, in prima battuta ritenere che la residenza fiscale del trust sia quella della residenza fiscale del trustee.

Qualora un soggetto fiscalmente residente in Italia intenda disporre dei beni in un trust estero in luogo di un trust italiano, gli adempimenti connessi alla compliance tendono ad incrementarsi sensibilmente.

Un primo aspetto, non in ordine di importanza, attiene alla compilazione del quadro RW.

Il trust non residente sarà generalmente titolare di investimenti esteri. Se è vero che il trust non residente è escluso dall’adempimento, non lo sono altrettanto i titolari effettivi, salvo i casi di esonero illustrati in occasione di altri interventi sulle pagine di Ecnews.

Collegato al monitoraggio fiscale vi è anche il sistema di scambio di informazioni connesso al CRS (c.d. common reporting standard).

Il trustee estero o altri intermediari finanziari esteri con cui il trust non residente instaurerà rapporti finanziari, fornirà informazioni alla propria amministrazione finanziaria che verranno poi utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per verificare la corretta compilazione del quadro RW in capo ai titolari effettivi residenti in Italia.

Ebbene, i dati trasmessi con il sistema CRS non collimano perfettamente con le modalità di compilazione del quadro RW per cui le informazioni a disposizione dell’Agenzia possono portare all’emissione di una lettera di compliance con la necessità di dedicare risorse ai chiarimenti del caso.

Un ulteriore profilo di criticità connesso ai trust non residenti attiene anche alla disciplina di cui alla DAC6, entrata in vigore nel 2021.

Si tratta di una matrice di natura comunitaria volta a contrastare i meccanismi transfrontalieri aggressivi.

Questi meccanismi sono sintetizzati in cinque casistiche denominate hallmarks.

La casistica di cui alla lettera D ha ad oggetto i comportamenti che sono volti a rendere più difficoltosa l’individuazione dei titolari effettivi o a contrastare le comunicazioni CRS.

L’allegato A, lett. m), D.M. 17.11.2020 contempla quale casistica di comportamento aggressivo il meccanismo che consente la classificazione di un pagamento tra quelli non soggetti ad obbligo di comunicazione.

Per esempio, il caso di un trust che paga conti o fatture per conto di un beneficiario.

Non possiamo, peraltro, sottacere il fatto che molto spesso i trustee esteri hanno una scarsa conoscenza della normativa fiscale italiana relativa ai trust.

Un ulteriore profilo di criticità dei trust non residenti attiene alla tassazione dei beneficiari fiscalmente residenti in Italia, ancorché il trust risulti essere qualificato come opaco secondo la normativa domestica.

La lett. g sexies) dell’articolo 44 Tuir, così come novellata dall’articolo 13 D.L. 124/2019, prevede che i beneficiari italiani sono tassati se il trust opaco estero risulta integrare il requisito della tassazione nominale inferiore alla metà di quella italiana di cui all’articolo 47 bis Tuir.

Invero, la norma non sembra trovare applicazione ai trust comunitari e dello Spazio economico europeo che scambiano informazioni, tuttavia, dalla bozza di circolare sul trust diramata in data 11 agosto 2021 pare di intendere che l’Agenzia ritenga applicabile il regime a tutti i trust fiscalmente non residenti in Italia.