La plusvalenza relativa a beni non iscritti in bilancio è rateizzabile
di Stefano RossettiL’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 19/2020 ad un’istanza di interpello ha chiarito che la cessione di un marchio mai iscritto in bilancio può dar luogo ad una plusvalenza rateizzabile ai sensi dell’articolo 86, comma 4, Tuir.
L’Amministrazione finanziaria è giunta a tale conclusione in considerazione del fatto che la cessione del marchio è avvenuta dietro pagamento di un corrispettivo, e, di conseguenza, si ritiene applicabile l’articolo 86, comma 1, Tuir in base al quale le plusvalenze rilevanti ai fini del reddito d’impresa sono quelle che derivano da:
- cessione a titolo oneroso;
- risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni;
- assegnazione dei beni ai soci
- destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’attività d’impresa.
Una volta appurata l’imponibilità della plusvalenza, l’Agenzia delle Entrate, richiamando l’interpretazione fornita con la R.M. 9/611/1991, ha chiarito che:
- alla fattispecie in esame risulta applicabile l’articolo 86, comma 4, Tuir, che prevede la possibilità di rateizzare la plusvalenza nei casi in cui il bene plusvalente sia stato detenuto per un periodo non inferiore a tre anni;
- la plusvalenza deve essere calcolata contrapponendo al prezzo di cessione un costo di acquisto pari a zero, analogamente al caso in cui il bene risulti completamente ammortizzato.
L’Agenzia delle Entrate nella risposta in esame non è entrata nel merito del requisito triennale di possesso che, nel caso di specie, può essere verificato solo con documentazione extracontabile, considerato che il marchio oggetto di cessione non è mai stato iscritto in contabilità.
In tema di rateizzazione delle plusvalenze patrimoniali occorre sottolineare che l’articolo 86, comma 4, Tuir, oltre a quanto sopra, prevede anche che:
- la scelta di avvalersi della rateizzazione deve avvenire in dichiarazione dei redditi;
- in caso di omissione della dichiarazione fiscale la plusvalenza viene tassata integralmente nel periodo d’imposta in cui è realizzata.
In relazione al primo aspetto si sottolinea che nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui il bene è stato ceduto il contribuente può decidere in quante quote costanti desidera assoggettare la plusvalenza ad imposizione, fino ad un massimo di cinque, compreso il periodo d’imposta di realizzo (cinque quote costanti rappresenta la massima dilazione consentita, pertanto il contribuente è libero anche di assoggettare a tassazione la plusvalenza per un periodo inferiore).
Tale scelta, in relazione alle plusvalenze realizzate nel periodo d’imposta 2019, deve essere effettuata compilando i righi RS126 e RS127 del Modello Redditi SC 2020.
Sul tema, tuttavia, è opportuno segnalare la posizione della Suprema Corte (Cassazione n. 991/2015), la quale ha affermato che la scelta relativa alla rateazione, oltre che in dichiarazione dei redditi, può avvenire anche ai sensi dell’articolo 1 D.P.R. 442/1997, norma che disciplina l’opzione e la revoca di regimi contabili di determinazione dell’imposta e dei regimi contabili.
Ad avviso della Corte di Cassazione, dunque, è possibile fruire del beneficio della rateizzazione della plusvalenza anche mediante comportamento concludente, ovvero mediante la corretta imputazione delle variazioni in aumento e in diminuzione in dichiarazione dei redditi.
Per ciò che concerne l’obbligo di presentazione della dichiarazione fiscale al fine di fruire della rateizzazione della plusvalenza, è utile ricordare che la dichiarazione fiscale si intende validamente presentata se trasmessa all’Amministrazione finanziaria entro il termine previsto per legge; tuttavia l’articolo 2, comma 7, D.P.R. 322/1998 considera valida (ma tardiva) la dichiarazione spedita entro il novantesimo giorno dal termine previsto dalla legge. Oltre tale termine la dichiarazione si considera omessa ma costituisce titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in essa indicati.
Da ultimo, si rammenta che la scelta della rateizzazione non può essere revocata dal contribuente presentando una dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 2, comma 8, D.P.R. 322/1998 in quanto tale possibilità è riservata alla correzione “di errori od omissioni compresi quelli che abbiano comportato l’indicazione di un maggiore o minore imponibile, debito d’imposta o credito d’imposta”.
Attraverso la dichiarazione integrativa è possibile rimuovere errori od omissioni limitatamente ai dati contenuti nella dichiarazione di redditi che si qualificano come dichiarazioni di scienza, restando così esclusi gli errori legati a manifestazioni di volontà negoziale del contribuente tra cui figura la facoltà concessa al contribuente di rateizzare la plusvalenza ai sensi dell’articolo 86, comma 4, Tuir (vedasi circolare 8/E/2010, risoluzione 325/E/2002, Cassazione n. 14550/2018 e Cassazione n. 30172/2017).
Ciò è coerente con il fatto che, a posteriori, il contribuente potrebbe ritenere conveniente modificare la scelta effettuata in precedenza:
- modificando la durata della dilazione;
- revocando l’opzione;
- esercitando l’opzione in caso di tassazione integrale della plusvalenza.