La posizione di garanzia del titolare di ditta individuale
di Luigi FerrajoliCon l’interessante sentenza n. 38788/2015, la Corte di Cassazione si è espressa sul tema della responsabilità del titolare di ditta individuale per reati tributari commessi dal gestore di fatto della medesima.
Nella fattispecie in esame la titolare di una ditta individuale era stata ritenuta colpevole dalla Corte di appello di Brescia dei reati puniti dagli articoli 8 e 10 D.Lgs. 74/2000 per avere occultato, ovvero distrutto in tutto o in parte, le scritture contabili di cui è obbligatoria la tenuta e conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi del volume d’affari, nonché per avere emesso, in concorso con il marito quale gestore di fatto, fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti.
La Corte di appello aveva osservato che la Guardia di Finanza aveva eseguito una verifica fiscale a carico dell’impresa che era risultata priva di struttura aziendale e di dipendenti (con la sola eccezione del marito dell’amministratrice), tuttavia il volume di affari era lievitato da 30.974,00 euro, per l’anno 2005, a 1.668.738,00 euro, per l’anno 2007.
La titolare non era stata in grado di esibire la documentazione fiscale e l’analisi delle movimentazioni aveva evidenziato il transito di diversi milioni di euro sui conti correnti riconducibili alla medesima; inoltre era stato accertato che, contestualmente al versamento degli assegni bancari e/o alla ricezione di un bonifico bancario, l’imputata emetteva assegni circolari e/o bonifici di importo pressoché corrispondente alla somma incassata.
L’ulteriore constatazione, secondo la quale non risultavano i nomi dei fornitori delle merci che la società dichiarava apparentemente di aver ceduto ai propri clienti, faceva logicamente concludere, secondo la Corte territoriale, nel senso che si trattava di una “cartiera”.
L’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, eccependo l’illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza del dolo (articolo 606, comma 1, lett. e), Cod. proc. civ.) e sostenendo di essere totalmente estranea alle attività gestorie dell’impresa che, invece, avrebbero fatto capo esclusivamente all’amministratore di fatto, ossia al marito, con la conseguenza che doveva escludersi in capo alla ricorrente ogni consapevolezza in ordine al meccanismo fraudolento in cui il medesimo operava.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo il motivo manifestamente infondato in quanto la Corte di appello aveva giustamente rilevato che l’imputata era risultata titolare della ditta individuale, con la conseguenza che erano a lei direttamente riconducibili tutti i rapporti di vario tipo intrattenuti dall’impresa, tra i quali i numerosi rapporti di conto corrente bancario su cui la ricorrente stessa aveva operato provvedendo, incassati gli importi inviati dalle ditte clienti per l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, ad eseguire i vari storni, posto che le somme venivano immediatamente prelevate in contanti (al netto dell’Iva) e restituite al destinatario della fattura.
Ed inoltre, quand’anche il meccanismo truffaldino fosse stato ideato dal marito (unico dipendente della ditta individuale), il concorso della ricorrente, secondo la Corte d’appello, era stato determinante e consapevole, atteso che la stessa aveva direttamente operato, ed in modo distorto, con riferimento a tutti i rapporti bancari intrattenuti, e che tali operazioni potevano svolgersi esclusivamente con la coscienza, da parte sua, della contrarietà delle azioni compiute ad ogni elementare ed intuitiva regola di conduzione di impresa.
Secondo la Cassazione, quindi, la responsabilità della ricorrente era stata correttamente affermata, data la prova positiva di una concreta ingerenza della medesima negli affari della ditta a lei intestata, e risultava del tutto pretestuoso quindi sostenere che la titolare fosse una semplice prestanome, completamente disinteressata agli andamenti aziendali e che tutti gli affari economici fossero gestiti dal marito senza implicazione di alcun genere da parte sua.
La Cassazione ha inoltre precisato che il soggetto titolare di una ditta “apparentemente” individuale è penalmente responsabile – o a titolo di dolo diretto, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino – anche nel caso in cui la gestione dell’impresa sia, di fatto, svolta da terzi, gravando sull’imprenditore “palese”, quale legale rappresentante e titolare dell’impresa, i doveri positivi di vigilanza e di controllo sulla corretta gestione di essa (v. ex multis Cassazione sentenza n. 25047 del 2011), anche nei casi in cui egli, in quanto titolare della ditta individuale, sia mero prestanome di altri soggetti che agiscano quali gestori di fatto.
Secondo la Cassazione, tale principio fonda sul presupposto che i soggetti titolari di imprese individuali, al pari degli amministratori di società, sono titolari di una posizione di garanzia nel senso che su di loro comunque incombe l’obbligo di impedire l’evento pregiudizievole, anche se prodotto da una condotta costituente reato posta in essere da altri.
La Cassazione chiarisce che “Esiste cioè un dovere giuridico di attivarsi -ovviamente quando si abbia la consapevolezza che il gestore di fatto ponga in essere condotte integranti il reato – per evitare che l’evento temuto si verifichi e tale dovere, in considerazione dell’elemento tipicamente personale, è ancora più stringente in quanto la ditta individuale coincide con la persona fisica titolare di essa e, perciò, non costituisce un soggetto giuridico autonomo, sia sotto l’aspetto sostanziale che sotto quello processuale”.