La prescrizione del credito non autorizza l’emissione della nota di variazione
di Fabio GarriniIl tema delle note di variazione ai fini Iva continua a destare l’interesse dell’Amministrazione Finanziaria; sono infatti numerose le risposte ad interpello pubblicate nelle ultime settimane che si occupano della corretta applicazione dell’articolo 26 D.P.R. 633/1972.
Mentre le ultime pronunce riguardavano i crediti vantati nei confronti di clienti sottoposti a procedure concorsuali (sulla scorta dell’importante modifica introdotta lo scorso anno dall’articolo 18 D.L. 73/2021 che ha anticipato il momento a partire dal quale può essere emessa la nota di variazione, modifica oggetto di commento con la circolare 20/E/2021), con la risposta ad interpello n. 102 pubblicata ieri, 10 marzo, l’Agenzia si è soffermata sulla fattispecie del credito prescritto: in tale documento si afferma che il diritto di recuperare l’imposta afferente le fatture che hanno costituito tale credito sarebbe pregiudicata a causa dell’inerzia del contribuente.
Il caso
Ad innescare la pronuncia dell’Amministrazione Finanziaria è stata la richiesta di un contribuente che vanta un credito nei confronti di una ditta che è stata assoggettata a concordato e poi è caduta in fallimento.
Il creditore si è pertanto insinuato di tale ultima procedura, ma la domanda di ammissione al passivo del credito formulata dall’istante è stata rigettata per intervenuta prescrizione.
A tal fine, il creditore presenta interpello avanzando l’ipotesi di emissione di una nota di variazione ai sensi del comma 2 dell’articolo 26 D.P.R. 633/1972 che, nella formulazione vigente ante 26 maggio 2021, prevedeva la possibilità di operare la variazione Iva “per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose” (la nuova formulazione del comma 3-bis, per le procedure avviate dal 26 maggio scorso, permette invece l’emissione della nota di variazione quando il cessionario/committente è “assoggettato” ad una procedura).
Sul punto deve rammentarsi che, in passato, l’Amministrazione Finanziaria ha sempre richiesto, per l’emissione della nota di variazione, che il creditore si fosse insinuato nella procedura; sul punto si veda, in particolare la circolare 77/E/2000 nella quale si afferma che “l’infruttuosità della procedura viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo”, e tale indicazione postula “la necessaria partecipazione del creditore al concorso previa ammissione al passivo della procedura.”
L’Agenzia sul punto afferma che, a causa della mancata insinuazione, non può dirsi realizzato il presupposto dell’infruttuosità, posto che la pretesa creditoria risulta insoddisfatta non per l’accertata incapienza del patrimonio del debitore, bensì per l’intervenuta prescrizione del credito, che ha precluso l’ammissione al passivo del creditore.
A margine, in tema di insinuazione al passivo fallimentare, va annotata una importante indicazione contenuta nella circolare 20/E/2021: per il recupero dell’Iva relativa a fatture verso clienti assoggettati a procedura dal 26 maggio 2021 non è più necessario porre in esser tale adempimento.
D’altro canto, occorre notare, la nuova disciplina che permette l’emissione della nota di variazione all’apertura della procedura concorsuale sottende una sorta di “presunzione” di infruttuosità che si manifesta con l’inizio della procedura stessa, che necessariamente deve prescindere dall’insinuazione.
La prescrizione
Lo spunto più interessante dell’interpello in commento riguarda però una più ampia valutazione proposta dall’Agenzia circa il rapporto tra prescrizione del credito e possibilità di emettere la nota di variazione per recuperare l’imposta; in particolare, si pone l’interrogativo se tale prescrizione possa rappresentare un autonomo presupposto per l’emissione della nota di credito, nel rispetto del primo periodo del dell’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972, ossia con riferimento alle figure “simili” alle cause di “nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione”.
Secondo l’Agenzia, la prescrizione non può essere ricondotta tra le figure “simili” a quelle richiamate dalla norma, in quanto, pur determinando l’estinzione del diritto a percepire il corrispettivo dell’operazione resa, così alterando definitivamente il rapporto tra le parti, questa consegue all’inerzia ingiustificata del creditore.
Prescindendo dal caso specifico analizzato dall’interpello (in relazione al quale, secondo l’Agenzia, il contribuente avrebbe dovuto attivarsi nelle more della procedura di concordato) l’indicazione generale che si ottiene è quella per cui la prescrizione del credito non dà diritto al cedente/prestatore ad emettere la nota di variazione per il recupero dell’Iva addebitata, rimasta insoddisfatta.
La deducibilità del credito prescritto
Concludendo sul punto, si deve invece notare come la specifica fattispecie è regolata ai fini delle imposte sul reddito: l’articolo 101, comma 5, Tuir prevede infatti che “gli elementi certi e precisi [presupposto per portare in deduzione al perdita su crediti, n.d.a.] sussistono inoltre quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto”.
Anche ai fini delle imposte sui redditi, comunque, l’inerzia del creditore può essere causa di pregiudizio alle sue ragioni; sul punto la circolare 26/E/2013 ricorda infatti che “resta salvo il potere dell’Amministrazione di contestare che l’inattività del creditore abbia corrisposto ad una effettiva volontà liberale”.
Medesima posizione è peraltro stata successivamente espressa nella risposta ad interpello n. 192 del 13 giugno 2019.
In tema di competenza della perdita su crediti va ricordato quanto affermato di recente dal principio di diritto n. 16 del 29 dicembre 2021, secondo il quale, in base all’attuale formulazione del comma 5-bis del citato articolo 101 Tuir, l’avvenuta prescrizione del diritto di credito rappresenta il momento limite oltre il quale la deduzione della relativa perdita non risulta più possibile, in quanto quello è il momento entro il quale occorre procedere alla cancellazione del credito dal bilancio.