La presenza fisica e la residenza fiscale
di Ennio VialL’articolo 1, D. Lgs. 209/2023, ha riscritto le previsioni dell’articolo 2, comma 2, Tuir, in tema di residenza fiscale delle persone fisiche. La nuova norma, entrata in vigore dal 2024, continua a fare riferimento a tre criteri alternativi che devono essere verificati per la maggior parte del periodo di imposta.
Il nuovo criterio della presenza fisica solleva non poche perplessità e preoccupazioni, in considerazione del fatto che la norma stabilisce che si considerano anche le frazioni di giorno. Ciò che ne esce è che molti soggetti saranno considerati residenti in Italia in base alla normativa interna.
Il primo pensiero va agli studenti che risiedono vicino al confine e frequentano una università italiana. Il superamento dei 183 giorni è assolutamente possibile. In questi casi, volendo a questo stadio di analisi limitarci al momento alla norma interna, il problema può essere risolto constatando che spesso si tratta di persone fisiche che non percepiscono redditi. La cosa, tuttavia, non è affatto scontata e si pone inoltre il problema di monitorare eventuali investimenti detenuti all’estero come, ad esempio, un conto corrente con qualche regalia ricevuta dai genitori.
Più seria, a mio avviso, è la posizione dei frontalieri esteri che lavorano in Italia. La nuova disciplina stride ovviamente con la stessa natura del regime fiscale dei frontalieri che – secondo la regola generale – dovrebbero essere assoggettati a tassazione soltanto nel Paese di residenza, che noi abbiamo considerato sempre essere quello dove dormono con la famiglia. Ebbene, anche un contratto di lavoro part time in territorio nazionale potrebbe finire col rendere il frontaliere residente in Italia. La tassazione esclusiva nel Paese estero verrebbe di primo acchito sostituita con una tassazione esclusiva italiana. Il problema dovrà, in questo caso, essere risolto con le convenzioni.
Un altro pensiero va a chi è presente fisicamente in Italia contro la propria volontà, in quanto ricoverato in lunga degenza in una clinica o in un istituto di pena.
La mente corre anche a chi magari entra in Italia a piedi o in auto ogni giorno per bere un caffè o fare la pausa pranzo. E quelli che sorvolano il nostro Paese in aereo?
Ad ogni buon conto, la convenzione contro le doppie imposizioni risolverà prontamente la questione.
Il problema è che la convenzione potrebbe non esserci.
Inoltre, ulteriori criticità potrebbero discendere da un approccio riscontrato in sede di contestazioni sul monitoraggio fiscale. Mi è capitato di leggere in un avviso di irrogazione di sanzioni che secondo l’Ufficio “le previsioni della Convenzione sono da considerarsi valide esclusivamente allo scopo di evitare una doppia imposizione, mentre non eliminano alcun altro obbligo dichiarativo o informativo previsto all’interno di uno dei due stati contraenti. Lo stesso art. 2 della convenzione fa infatti riferimento alle imposte cui la convenzione medesima trova applicazione (per la persona fisica in ltalia, essenzialmente, si tratta di IRPEF e imposte locali). … Per le considerazioni sopra esposte non si ritiene applicabile la normativa pattizia per dirimere i casi di doppia residenza ai fini dell’applicazione della normativa del monitoraggio fiscale”.
Si tratta di una impostazione che non appare assolutamente condivisibile, atteso che il monitoraggio fiscale è finalizzato a monitorare investimenti esteri al fine di valutare possibili profili impositivi del contribuente.
Va da sé che se il contribuente non risulta residente in Italia, magari grazie ad una convenzione, il monitoraggio perde di significato.
Concludendo, possiamo rilevare che le convenzioni contro le doppie imposizioni assumeranno in questi casi un ruolo sempre più importante.