Nulla sembra scalfire tale principio e anche con la sentenza in commento non sembra esserci stato un radicale “ripensamento” della Corte. Ciò nondimeno, tale pronuncia merita un commento per aver riservato una maggiore considerazione verso la prova contraria, che il contribuente è onerato a fornire per superare tale presunzione.
Al fine di comprendere con la dovuta contezza l’orizzonte fattuale e normativo sul quale si è pronunciata la Corte, giova ribadire che, in materia di imposizione di utili extra-bilancio, questi si presumono distribuiti ai soci, sulla base del mero dato fattuale della ristretta base azionaria.
Granitica giurisprudenza di legittimità da sempre ha sostenuto che la presunzione in esame, secondo la quale maggiori redditi non emersi sono distribuiti ai soci in quanto legati da una assunta “complicità”, può essere superata solo ed esclusivamente con la dimostrazione che questi siano stati accantonati o reinvestiti in azienda, oppure che siano stati attribuiti a terzi. Tale chiusura è stata da ultimo ribadita dalla di poco precedente sentenza n. 2288/2025, della Corte di cassazione, la quale aveva stabilito che il socio, raggiunto dall’accertamento sulla presunzione di distribuzione dei maggiori utili extra-contabili accertati in capo alla società, non può difendersi, producendo il proprio estratto conto, considerato che l’utile può essere distribuito in altri modi, a esempio, in contanti o all’estero.
Non rileva, inoltre, che il socio, a cui sia stato attribuito il presunto maggiore reddito, faccia parte della compagine societaria o sia terzo, ovverosia estraneo.
Ciò nondimeno, seppur molto reticente, la Corte negli anni ha affermato la possibilità di superare la presunzione, fornendo la prova della presentazione di una denuncia querela nei confronti dell’amministratore (Cassazione n. 21573/2005), dello svolgimento di una attività da libero professionista (Cassazione n. 18042/2018) o, ancora, il mancato coinvolgimento del socio nell’inchiesta penale riguardante gli altri soci (Cassazione n. 24870/2021).
Con la sentenza in commento si registra una prima apertura verso l’efficacia comprovante della dimostrazione dell’estraneità del socio nella gestione sociale per superare la presunzione di distribuzione.
In altri più specifici termini, con la pronuncia in commento, si afferma per la prima volta, per quanto consta, che, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio, è sufficiente fornire la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.
Secondo la Corte deve, pertanto, ritenersi superato il tradizionale insegnamento secondo il quale la prova della estraneità del socio non riesca a dimostrare che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che questi siano nella disponibilità di altro soggetto.
L’estraneità del socio può, pertanto, superare la presunzione di distribuzione.
Ciò in quanto, il fatto che il socio sia estraneo alla società esclude anche la complicità fra i soci, che la giurisprudenza ha considerato da sempre come elemento, sul quale fondare la ricostruzione presuntiva.
Nonostante l’apertura della Corte, la prova, che deve essere fornita dal socio, oltre a dover essere pregnante e puntuale, al fine di superare la forza della presunzione, deve essere “negativa”, nel senso che occorre comprovare la non percezione degli utili contestati; lavoro, questo, tutt’altro che agevole e la dimostrazione di tale difficoltà trova conferma nel giudicato della Cassazione che avalla l’operato dell’Ufficio per non aver i soci fornito adeguata dimostrazione che gli utili sono stati accantonati e/o reinvestiti dalla società o la loro assoluta estraneità alla gestione e conduzione societaria.