La presunzione sui prelevamenti opera anche per il lavoratore in nero?
di Angelo GinexL’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 stabilisce che i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie possono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 D.P.R. 600/1973, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine.
Alle stesse condizioni tali dati possono essere altresì posti come ricavi o compensi a base delle rettifiche e degli accertamenti di cui sopra, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili.
Come noto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 limitatamente alle parole “o compensi”, stabilendo che “è lesiva del principio di ragionevolezza, nonché della capacità contributiva, la presunzione che consente di desumere l’esistenza di compensi non dichiarati sulla base dei prelevamenti effettuati dai lavoratori autonomi sui loro conti correnti”.
Successivamente, tale statuizione è stata recepita dal Legislatore, che, mediante il D.L. 193/2016, ha espunto le parole “o compensi” dall’articolo 32 citato. Quindi, ne deriva che, se il contribuente accertato è possessore di reddito di lavoro autonomo, occorre applicare soltanto la presunzione sui versamenti. Cosa accade però in caso di lavoratore in nero? Opera soltanto la presunzione sui versamenti o anche quella sui prelevamenti?
La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 23162 del 4 ottobre 2017, la quale ha statuito che, anche nel caso prospettato, grava in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati dal lavoratore autonomo o dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.
La vicenda trae origine da una verifica fiscale eseguita a carico di un soggetto esercente l’attività di assemblaggio di articoli per l’infanzia, senza dipendenti, presso l’abitazione della madre, cui seguiva l’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di un avviso di accertamento basato su indagini bancarie in assenza di documentazione contabile.
Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte, dopo aver rilevato che la competente Commissione tributaria regionale aveva qualificato il contribuente, in base alle caratteristiche della sua attività, come lavoratore autonomo, con accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, ha fatto applicazione di quanto statuito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 228 del 6 ottobre 2014.
In conseguenza di ciò, è stato affermato che, essendo definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo, è onere dell’Amministrazione finanziaria provare, anche nella ipotesi in cui questi sia un lavoratore in nero, che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili siano stati utilizzati per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone dei ricavi.