La presunzione sulla plusvalenza da cessione d’azienda è indipendente
di Chiara RizzatoSandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi TributariSovente capitava che, in tema di accertamento sulle plusvalenze realizzate a seguito di cessione di azienda, il valore dell’avviamento reso definitivo ai fini dell’imposta di registro, assumesse carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria. L’Amministrazione finanziaria pertanto era legittimata a procedere con un accertamento induttivo, qualora nel bilancio del soggetto economico vi fosse l’indicazione di un’entrata derivante dalla vendita di un bene inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell’imposta di registro. Nell’ordinanza della Cassazione n. 7023/2010 si dispone infatti che nel caso di cessione d’azienda il valore dell’avviamento accertato definitivamente ai fini dell’imposta di registro non sia da ritenersi vincolante in maniera assoluta per l’Amministrazione ed il contribuente in sede di accertamento ai fini Irpef, ma legittimi solo l’Amministrazione ad agire in via induttiva per accertare l’eventuale plusvalore emergente dalla cessione. Il contribuente potrà difendersi fornendo, e provando, le motivazioni che hanno giustificato un minor corrispettivo di cessione e superare così la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando in concreto di aver venduto ad un prezzo inferiore.
Dall’ordinanza sopra esposta si evince pertanto come l’Amministrazione finanziaria non possa ritenere che vi sia un assoluto collegamento tra i due valori, per ragioni che si configurano nei concetti insiti nelle norme tributarie stesse, e quindi non possa procedere a priori con la rettifica del valore ai fini dell’imposizione diretta.
La Guardia di Finanza, nella circolare 1/2008, specifica che:
- il risultato della cessione si calcola come differenza tra il corrispettivo pattuito, al netto degli oneri accessori diretti (spese notarili, perizie tecniche ed estimative, provvigioni dovute agli intermediari ecc.) ed il valore netto dei beni componenti l’azienda;
- il corrispettivo della cessione è quello riportato nel contratto e va riferito all’azienda nel suo complesso e non ai singoli beni che la compongono;
- l’eventuale plusvalenza realizzata comprende, oltre all’avviamento anche il valore dei beni che se ceduti autonomamente avrebbero dato luogo a dei ricavi e non a plusvalenze.
Tali considerazioni ribadiscono l’impianto normativo del Tuir che all’articolo 86, comma 2, stabilisce che:
- la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato;
- concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso.
Considerato che, per quanto concerne l’imposizione diretta, non vi è una disciplina delineata con precisione per la determinazione del valore dell’avviamento, la circolare della Guardia di finanza 1/2008 afferma che “ancorché ai fini delle imposte sui redditi vigano regole diverse per la determinazione del risultato fiscale della cessione rispetto a quelle utilizzabili in materia di imposta di registro (art 2, 3, 5 D.P.R. 131/86), il valore definitivamente assegnato ai fini dell’imposta di registro all’avviamento è vincolante per l’Amministrazione finanziaria nell’accertamento ai fini delle imposte sui redditi, avente ad oggetto plusvalenze realizzate nell’ambito dello stesso trasferimento”. La stessa giurisprudenza nella sentenza della Cassazione 22143 del 2013 sostiene che i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare, sicché quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione.
Con i precedenti giurisprudenziali e di prassi si assisteva dunque all’instaurazione di una relazione, alla quale si può attribuire una consecutio logica, ove la causa si configurava nella definizione dell’imposta di registro in relazione al valore dell’avviamento e l’effetto si configurava nella legittimazione ad emettere un accertamento induttivo ai fini delle imposte dirette sullo stesso valore.
La questione è stata recentemente disciplinata dal comma 3 dell’articolo 5 del D.Lgs. 147/2015 nel quale viene esplicitato quanto segue: “gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5-bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347”. La presunzione di un maggior corrispettivo a seguito di cessione d’azienda pertanto non può ritenersi a priori scaturente dal valore attribuito ai fini dell’imposta di registro.