12 Settembre 2014

La prova diabolica nelle vincite in contante al casinò

di Niccolò Di Bella
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Che l’evasione fiscale passi prevalentemente attraverso il 
denaro contante è cosa nota; come è nota la 
difficoltà che incontra il contribuente che intende fornire 
adeguate giustificazioni all’Amministrazione Finanziaria circa le movimentazioni in contante registrate sui conti correnti, nonostante le stesse siano il frutto di proventi non soggetti a tassazione o assoggettati a prelievo alla fonte a titolo di imposta.
Una particolare casistica è quella delle 
vincite conseguite presso le sale da gioco dei casinò di 
Venezia, Campione d’Italia, San Remo e Saint Vincent. In base a quanto ribadito dalla Circolare Min. Fin. 02/06/1997 151/E, infatti, l’esercizio del gioco nei predetti casinò rientra tra quelle attività soggette ad 
imposta sugli spettacoli, ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 640/1972; in virtù di tale disposizione, in ossequio a quanto previsto dall’art. 30, c.7, del D.P.R. 600/1973, 
la ritenuta sulle vincite corrisposte dalle suddette case da gioco è interamente compresa nell’imposta sugli spettacoli da queste versata, con la diretta conseguenza che qualsiasi ammontare il giocatore/contribuente abbia vinto è da considerare non solo privo di imposizione in capo allo stesso, ma altresì 
esente da qualsivoglia obbligo dichiarativo.
Se dal 1° febbraio 2012 il limite all’utilizzo del contante è rappresentato da €999,99 (D.L. 201/2011), ben diversa era la situazione in anni ancor oggi accertabili dal Fisco, sopratutto nei casi in cui si sia in presenza di 
segnalazione di reato alla Procura della Repubblica ai sensi dell’art. 331 del c.p.p., con il conseguente 
raddoppio dei termini per l’accertamento (segnalazione che peraltro rappresenta una delle questioni che la Legge Delega fiscale 23/2014 intende razionalizzare).
Prima delle modifiche normative all’utilizzo del contante testé citate, è bene ricordare che fino al 24/06/2008 tale limite era in € 12.500, sceso temporaneamente ad € 5.000 (ad opera del D.Lgs.231/2007), per poi tornare ad € 12.500 fino al 30/05/2010, scendere ad € 5.000 fino 12/08/2011 ed infine ad € 2.500 fino all’ingresso delle modifiche che lo hanno portato ai predetti € 1.000.
Il 
problema che vogliamo evidenziare è il seguente: come può un contribuente (magari titolare di reddito di lavoro autonomo o di impresa) dimostrare che certi accrediti e certi addebiti sul suo conto corrente sono riferiti a vincite nei suddetti casinò e non a redditi inerenti alla sua attività professionale/aziendale sfuggiti a tassazione? Come può dimostrare la sua estraneità a comportamenti “evasivi”, in assenza di una più che valida prova documentale?
Peraltro, a ben pensarci, il problema può interessare una notevole platea di soggetti, completamente ignari dei rischi di natura fiscale/tributaria che poteva (e può, sebbene in maniera più ridotta in virtù dell’abbassamento del limite alla circolazione del contante) portare con sé la passione, o per meglio dire il vizio, per il gioco…
Se, infatti, il contribuente ha 
riscosso in contanti – e depositato nel suo conto (magari a distanza di parecchi giorni) – le somme vinte in maniera ripetuta, il rischio è la 
ripresa a tassazione di somme tutt’altro che esigue, con i ben noti riflessi in ordine alle maggiori imposte, sanzioni ed interessi.
Di certo non sarà facile tentare di 
difendersi provando l’assidua presenza del soggetto accertato 
nelle sale da gioco, in quanto tale “attività” potrebbe esser letta dall’Amministrazione Finanziaria come un tentativo di “lavaggio” di denaro riscosso in altro modo. Si potrebbe tentare di evidenziare la contestualità di certi prelievi, necessari per effettuare le giocate, con le somme versate? Forse… Ma anche qui, stentiamo a credere che l’Ufficio possa ammettere una simile prova, tutt’altro che “schiacciante”.
A parere di chi scrive, converrà sicuramente tentare di 
far pace con il Fisco attraverso uno degli 
strumenti deflattivi del contenzioso presenti nel nostro Ordinamento, dal momento che 
l’esito di un ricorso innanzi ai Giudici tributari in assenza di prove documentali circa le movimentazioni in contanti è alquanto 
scontato.
L’argomento merita sicuramente ulteriori approfondimenti, ma al momento possiamo limitarci ad affermare con ragionevole certezza che in casi simili ci si trova di fronte ad una 
probatio diabolica, estremamente 
difficile da fornire.
Per non dire impossibile…