La questione della confisca per equivalente nei reati tributari: la parola passa alle Sezioni Unite
di Luigi Ferrajoli
Con l’ordinanza n. 46726 del 22/11/2013, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione “se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per la violazione tributaria commessa dal legale rappresentante della stessa”: con il provvedimento in esame i Giudici di legittimità sono stati chiamati a prendere posizione sul tema scottante del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei reati tributari, da tempo oggetto di pronunce contrastanti.
Nella vicenda in esame, il Tribunale di Trento aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente su un immobile di proprietà del legale rappresentante di una società, indagato per il reato di cui all’articolo 10 ter del D.Lgs. n. 74/2000 per avere omesso il versamento dell’Iva.
L’indagato ha proposto ricorso per Cassazione osservando tra l’altro che, essendo pacifica la riferibilità del profitto del reato ipotizzato alla società della quale era legale rappresentante e non avendo egli dirottato tale profitto verso il suo patrimonio personale (le somme ricavate dall’omesso versamento dell’IVA erano state utilizzate dalla società per pagare i dipendenti ed evitare un tracollo finanziario), si sarebbe dovuta verificare la possibilità di procedere al sequestro in forma specifica prima di richiedere la misura sul suo patrimonio personale.
La Corte di legittimità rileva l’impossibilità di decidere sul punto, stante il contrasto giurisprudenziale esistente in relazione alla possibilità di aggredire o meno direttamente i beni di una società per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa.
Secondo alcune pronunce infatti, con riferimento ai reati tributari, è possibile applicare il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona giuridica, anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione era finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale “società schermo”. E’ stato al riguardo affermato che, sebbene il reato tributario sia addebitabile all’indagato, le conseguenze patrimoniali ricadono sulla società a favore della quale egli ha agito, salvo che si dimostri che vi è stata una rottura del rapporto organico, sicché non è richiesto che l’ente sia responsabile a sensi del D.Lgs. n. 231/2001 ed esso non può considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa alla utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati (Cass. Sez. 3 sentenza n. 28731 del 19/7/2011; Cass. Sez. 3 sentenza n. 26389, 06/7/2011).
Altre decisioni, di segno opposto, hanno invece affermato l’impossibilità di applicare il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni appartenenti alla persona giuridica, qualora si proceda per violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, poiché gli articoli 24 e seguenti del D.Lgs. n. 231/2001 non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del provvedimento, tranne che nel caso in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato (Cass. Sez. 3 sentenza n. 25774 del 04/7/2012; Cass. Sez. 3 sentenza n. 15349 del 03/4/2013).
La Suprema Corte rileva inoltre che, con la sentenza n. 1256 del 10/1/2013, dopo aver motivatamente rilevato l’impossibilità di far derivare, in base alla normativa vigente, la responsabilità degli enti per i reati tributari tranne che nel caso dei reati a carattere transnazionale di cui all’articolo 10 della L. n. 146/2006, si è evidenziato come tale situazione non possa ritenersi il risultato di una scelta meditata del legislatore, facendo emergere l’irragionevolezza dell’attuale assetto normativo, in base al quale, con riferimento ai reati tributari compiuti nell’ambito di fenomeni associativi a carattere transnazionale, è possibile ravvisare la responsabilità della persona giuridica ed operare la confisca per equivalente dei beni della società coinvolta diversamente da ciò che avverrebbe, in assenza di tale presupposto, anche a fronte di un ammontare maggiore di imposte evase, stigmatizzando l’inefficacia dell’attuale sistema punitivo e la disparità di trattamento derivante dalla situazione considerata.
Il Collegio osserva quindi che il contrasto sopra evidenziato non può ritenersi superato e che la soluzione della questione potrebbe comunque dar luogo ad un nuovo contrasto giurisprudenziale: per tali motivi ritiene che sussistano i presupposti di cui all’articolo 618 Cod. Proc. Pen. per la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di decidere la questione di diritto; si attende pertanto l’esito del giudizio per vedere risolta l’annosa problematica.