La questione fiscale del rent to buy immobiliare
di Fabio Pauselli
L’attuale crisi finanziaria ha sconvolto anche il mercato immobiliare, in profonda stagnazione a causa della contrazione avutasi nella concessione di finanziamenti e prestiti da parte degli intermediari creditizi.
Queste difficoltà hanno spinto gli operatori a diffondere nella prassi contrattuale operazioni che consentono di rimandare a un momento successivo gli effetti di un’operazione di compravendita immobiliare, permettendo agli acquirenti di ottenere immediatamente la disponibilità dell’immobile scelto e ai venditori lo smobilizzo dei beni invenduti con la messa a reddito.
Queste operazioni di vendita “ritardata” possono suddividersi in:
1) rent to buy: caratterizzate da una prima fase nel corso della quale il potenziale acquirente acquisisce il godimento dell’immobile corrispondendo un canone periodico e da una seconda fase nel corso della quale il medesimo soggetto acquista (sulla base di un obbligo oppure anche solo di una facoltà, previsti fin dall’inizio) la proprietà del bene pagando una somma a saldo del prezzo, che tiene conto di quanto già anticipato nel corso della prima fase.
2) help to buy: consistenti in un contratto preliminare trascritto avente effetti parzialmente anticipati, con pagamenti periodici a titolo di acconto prezzo, i quali tengono conto anche dell’immediato godimento del bene e di eventuali spese ed oneri fiscali, con durata del contratto variabile in funzione della quale varia anche la determinazione del prezzo di vendita.
3) buy to rent: caratterizzate dall’immediata conclusione di un contratto di vendita a prezzo differito da pagarsi a rate.
Il Consiglio Nazionale del Notariato con un interessantissimo studio, il n. 490-2013/T, ha analizzato i profili fiscali connessi alle operazioni di rent to buy in termini di imposizione indiretta (Iva e Registro) e diretta (Ires/Irpef), soffermandosi principalmente sulle problematiche connesse al recupero dei canoni periodici dal prezzo finale.
In termini di IVA il problema maggiore si ha nei casi in cui i canoni periodici di locazione vengono imputati al prezzo di cessione; in questo caso, infatti, siamo in presenza di una doppia imposizione prima come canoni e poi come prezzo finale. Per evitare ciò il Consiglio del Notariato suggerisce di ricorrere alle note di variazione ex art. 26 del D.P.R. 633/1972; in tal modo, infatti, riducendo le somme corrisposte a titolo definitivo di locazione, si riterrebbe plausibile una variazione in diminuzione della fatturazione relativa ai canoni sulla base di una riduzione del corrispettivo già prevista contrattualmente e, quindi, ammissibile anche nel caso in cui la variazione avvenisse oltre un anno dall’effettuazione dell’operazione. E’ evidente, tuttavia, che una problematica di questo tipo riguarderà esclusivamente le compravendite tra operatori commerciali e privati, essendo quelle tra privati fuori dal campo di applicazione dell’IVA.
Per ciò che concerne l’imposta di registro, invece, il Consiglio del Notariato è dell’avviso che, nella prospettiva di una considerazione unitaria della fattispecie rent to buy, la quale è diretta a realizzare il trasferimento di un immobile quale momento definitivo di un’operazione più complessa, possa ragionevolmente applicarsi la disciplina prevista all’art. 10 della tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131/1986. Così facendo si avrebbe l’imputazione dell’imposta di registro pagata sugli importi periodici, inizialmente qualificati come canoni di locazione, in sede di tassazione del contratto definitivo. Tale disciplina, infatti, trova fondamento nella considerazione unitaria dell’operazione realizzata, come un’unica manifestazione di capacità contributiva.
Anche in merito all’imposizione diretta (IRES/IRPEF), infine, si pongono lo stesse problematiche circa i profili di doppia imposizione. Infatti, laddove l’operazione si configuri inizialmente come locazione e successivamente come cessione, può porsi un problema di duplicazione dell’imposizione qualora gli importi periodici siano qualificati e tassati come canoni e successivamente considerati come componenti del prezzo di vendita. In particolare le imprese, secondo il Notariato, avranno problemi nell’allocare tali componenti positivi nei propri bilanci, non potendo recuperare in sede di cessione finale quanto già tassato come canone di locazione tramite una sopravvenienza passiva, essendo una componente di reddito straordinaria, occasionale ed imprevedibile.
Chi scrive, tuttavia, non condivide in toto questa impostazione; infatti, nell’uniformità generale dell’operazione di rent to buy, con l’imputazione dei canoni di locazione al prezzo di vendita finale potrebbero ravvisarsi i termini di cui all’art. 101, comma 4 del Tuir, ovvero di un mancato conseguimento di ricavi (quelli di locazione) che, in realtà, hanno concorso alla formazione del reddito in esercizi precedenti.
Il problema della doppia imposizione, peraltro, riguarderebbe anche il privato con riferimento alle somme che prima rilevano come reddito fondiario e successivamente come reddito diverso di cui all’art. 67, comma 1, lett. b, del Tuir.
Alla luce delle difficili implicazioni che si registrano in materia d’imposizione diretta, il Consiglio del Notariato auspica un intervento normativo che possa, ad esempio, prevedere un credito d’imposta quale meccanismo di recupero delle imposte già assolte sui contratti di locazione in essere.
In attesa che l’intervento si realizzi, si ritiene che le problematiche emerse nel suesposto studio possano essere aggirate imputando i canoni di locazione periodici a riduzione del prezzo di cessione piuttosto che imputarli al prezzo di cessione finale.