La residenza Convenzionale prevale su quella interna
di Ennio VialLa circolare n. 25/E/2023 ha fornito una serie di chiarimenti in tema di residenza fiscale, smart working e lavoratori frontalieri. In questa sede ci soffermeremo su un principio, invero non nuovo, ma opportunamente ribadito nel citato documento di prassi. Si verum est quod nemo dubitat che la Convenzione contro le doppie imposizioni prevalga sulla normativa interna, analoga conclusione era talora, quanto meno ad avviso di taluni, più nebulosa in tema di residenza fiscale.
In buona sostanza, talvolta era insorto l’erroneo convincimento secondo cui la residenza, determinata in base al criterio dell’iscrizione anagrafica dell’articolo 2 Tuir, sarebbe risultato non superabile dal dettato convenzionale.
Questo convincimento trovava giustificazione da una lettura, invero di norma superficiale, di alcune sentenze della Cassazione. Non sono mancati i casi in cui il contribuente, rimasto iscritto all’anagrafe della popolazione residente, volesse essere considerato residente all’estero, avendo trasferito fuori dal nostro Paese il domicilio, ossia il centro degli interessi e affari personali e professionali. L’Ufficio vinceva affermando – correttamente – che il criterio del domicilio, previsto dall’articolo 2 Tuir, risulta alternativo, nel senso che è sufficiente l’iscrizione all’anagrafe per essere considerato fiscalmente residente in Italia. Invero, l’errore del contribuente stava nell’invocare un criterio dell’articolo 2 Tuir, invece del disposto convenzionale.
La circolare 25/E/2023 (paragrafo 1) ricostruisce correttamente il rapporto tra la disciplina domestica e quella convenzionale, affermando che, in prima battuta, la residenza deve essere valutata in base alla disciplina interna degli Stati contraenti. Ove solamente uno dei due Paesi consideri fiscalmente residente il contribuente, la Convenzione non trova applicazione.
Il trattato deve entrare in gioco solo nel caso in cui emerga un conflitto di residenza tra i due Paesi, ossia nell’ipotesi in cui il contribuente sia considerato fiscalmente residente in entrambi i Paesi, in base alle rispettive norme interne.
Questo aspetto non è di poco momento. Talora si tende a dare per scontato che il Paese estero consideri fiscalmente residente il contribuente magari applicando l’articolo 2 Tuir. Nulla di più sbagliato: la residenza fiscale nell’altro Paese deve essere valutata in base alla normativa interna dell’altro Stato e non in base alla normativa interna dell’Italia.
Sul presupposto che esista il conflitto di residenza, la convenzione entra in gioco con le sue tie breaker rules, ossia una serie di specifiche regole da usare secondo un criterio gerarchico, la prima delle quali è rappresentata dall’abitazione permanente.
L’Agenzia spende qualche parola su questa prima regola richiamando anche precedenti interventi di prassi.
Con la risposta ad interpello n. 173/2023 è stato affermato che: “A prescindere dalla tipologia dell’abitazione e dal titolo giuridico in base al quale se ne dispone, ciò che rileva è la circostanza che la persona fisica abbia predisposto l’abitazione per utilizzarla in modo duraturo e continuo e non occasionalmente ai fini di una breve permanenza (come ad esempio per un viaggio di piacere, un viaggio di affari o per fini di studio etc.).”. Viene altresì richiamato un precedente documento di prassi, in cui sono riportate le diverse regole di cui all’articolo 4, par. 2 della Convenzione (risposta interpello n. 294/2019).
L’Agenzia si cimenta, poi, anche in un esempio concreto, ossia quello di un cittadino italiano che lavora all’estero con conservazione dell’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente. Nel caso di specie, viene ammessa l’applicazione della convenzione e individuata anche una possibile soluzione.
È stato altresì ipotizzato che il contribuente abbia venduto l’appartamento (che manteneva in Italia) e che abbia acquistato un immobile nello Stato estero come sua abitazione permanente. In sostanza, si ipotizza l’assenza dell’abitazione permanente in Italia. Un ulteriore assunto che l’Agenzia fa è che il contribuente risulti fiscalmente residente nel Paese estero in base alla normativa di quel Paese.
Questo secondo assunto è fondamentale per far emergere il conflitto di residenza necessario ad innescare l’applicazione della Convenzione.
Ecco un caso emblematico dove la disposizione convenzionale prevale sulla iscrizione all’anagrafe della popolazione residente. Il principio, invero, non è nuovo. in quanto già espresso nella risposta ad interpello n. 203/2019.