10 Aprile 2024

La residenza del trust dopo la Riforma

di Ennio Vial
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Introduzione

L’articolo 2, D.Lgs. 209/2023 è intervenuto sul tema della residenza fiscale dei soggetti Ires e quindi anche dei trust.

Il punto di partenza è rappresentato dalla soggettivizzazione ai fini della fiscalità diretta che il Legislatore ha fatto del trust, inserendolo tra i soggetti Ires dell’articolo 73, Tuir.

Ciò ha comportato, come diretta conseguenza, l’applicazione delle previsioni in tema di residenza contenute nel comma 3 dell’articolo 73, recentemente riformate dal Legislatore.

Nel presente intervento prenderemo le mosse dalla vecchia disciplina al fine di meglio cogliere la portata innovativa della novella.

La vecchia disciplina della residenza fiscale

La soggettivizzazione fiscale del trust

Il trust non è un soggetto di diritto ma il Legislatore della Finanziaria 2006 gli ha conferito una soggettivizzazione fiscale includendolo nell’articolo 73, Tuir. In particolare, il trust può essere annoverato tra gli enti:

  • commerciali residenti (lettera b);
  • non commerciali residenti (lettera c);
  • commerciali e non commerciali non residenti (lettera d).

La soggettivizzazione ai fini Ires determina che il trust è dotato di un codice fiscale o, in ipotesi più remote, di una partita Iva.

La vecchia disciplina della residenza fiscale in vigore fino al 2022

Come abbiamo già avuto modo di segnalare, il Legislatore, avendo incluso il trust nell’alveo dei soggetti di cui all’articolo 73, Tuir ha di fatto reso applicabile anche a questo istituto la nozione di residenza inserita nell’articolo 73, comma 3, Tuir.

L’articolo 1, comma 74, della Finanziaria 2007 (L. 296/2006) ha anche introdotto una disciplina antielusiva specifica per la residenza del trust, integrando il comma 3 dell’articolo 73, Tuir. Avremo modo di approfondirla nel prosieguo.

Va innanzitutto premesso che, in via generale, l’articolo 73, comma 3 nella versione ante Riforma prevede che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti (e quindi ora anche i trust) che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Si ricorda che, analogamente a quanto accade per le società di capitali, la residenza in Italia si concretizza quando per la maggior parte del periodo di imposta è soddisfatto anche uno solo dei requisiti del comma 3 già menzionati e che avremo modo di illustrare.

Secondo uno studio realizzato dal Gruppo di lavoro presso la DRE dell’Emilia Romagna, nel caso specifico del trust, essendo inapplicabile la nozione di sede legale, bisogna necessariamente valutare la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale. In dottrina è stato, invece, sostenuto che per il trust, diversamente da quanto previsto dal codice civile per le società e le altre organizzazioni, la sede legale è un elemento non necessario, ma si ritiene comunque che possa coincidere con il luogo di costituzione.

Il criterio della sede dell’amministrazione si attaglia per i trusts in cui lo scopo perseguito richiede strutture organizzative idonee quali dipendenti, locali, eccetera. In mancanza di tali elementi, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con la residenza del trustee.

Invero, si deve considerare il Paese in cui il trustee gestisce il trust. Tuttavia, si può osservare come di norma il trustee gestisca il trust presso la propria residenza.

L’equivalenza secondo cui la residenza del trustee diventa la residenza del trust, pur non essendo corretta dal punto di vista concettuale, diventa un criterio che nella pratica risulta molto utile.

Il terzo criterio, ossia quello dell’oggetto principale, non risulta sempre di immediata definizione se il patrimonio in trust è collocato in diversi Stati.

Secondo lo studio della DRE Emilia Romagna, in presenza di beni collocati in più Stati, bisognerà fare riferimento allo Stato dove si trovano le attività di maggior rilievo.

L’articolo 73, comma 4, Tuir stabilisce che l’oggetto principale è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura autenticata o registrata. Per il trust si può ritenere che l’atto costitutivo coincida con l’atto istitutivo di trust.

Queste problematiche non sono state, tuttavia, affrontate all’epoca dal Legislatore della Finanziaria 2007 che si è limitato a prevedere l’introduzione di una norma antielusiva volta a contrastare l’istituzione di trust in Paesi a bassa fiscalità che non consento­no lo scambio di informazioni con l’Italia.

I primi chiarimenti da parte dell’Amministrazione finanziaria sono giunti a stretto giro con la circolare n. 48/E/2007.

In particolare, il punto 3.1 della circolare precisa (a nostro avviso correttamente) che la residenza del trust è individuata, con taluni adattamenti che tengono conto della natura dell’istitu­to, secondo i criteri generali utilizzati per fissare la residenza dei soggetti di cui all’articolo 73, Tuir.

Viene ribadito che ai sensi del comma 3 di tale articolo, un soggetto Ires si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle condizioni sotto indicate per la maggior parte del periodo di imposta:

  • sede legale nel territorio dello Stato;
  • sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;
  • oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.

In linea con quanto espresso dal gruppo di studio istituito presso la DRE Emilia Romagna, l’Agenzia precisa che, considerando le caratteristiche del trust, di norma i criteri di collegamento al territorio dello Stato sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale e non anche quello della sede legale.

Il criterio della sede dell’amministrazione risulterà utile per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, etc.). In mancanza, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee.

Fino a questo punto le indicazioni dell’Agenzia delle entrate paiono condivisibili. Meno chiari sono, al contrario, le successive considerazioni relative al criterio dell’oggetto principale.

La citata circolare precisa che “se l’oggetto del trust (beni vincolati nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza”.

Parrebbe, quindi, che se il patrimonio di un trust con trustee estero è costituito prevalentemente da beni immobili ubicati in Italia, lo stesso sarà considerato residente nel nostro Paese.

La circolare precisa, inoltre, che nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.

In sostanza, in base alla vecchia disciplina, il trust risultava residente dove era concretamente gestito dal trustee, ossia, generalmente, nel Paese di residenza del trustee stesso. Il criterio, tuttavia, doveva fare i conti con quello ulteriore e alternativo dell’oggetto dell’attività. In altre parole, il trust con un patrimonio rappresentato esclusivamente da beni immobili detenuti in Italia era considerato residente nel nostro Paese.

La nuova residenza del trust dal 2024

Come già segnalato in precedenza, in data 28 dicembre 2023 ha trovato pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il D.Lgs. 209/2023, attuativo dell’articolo 3, comma 1, lettere c), d), e) e f), L. 111/2023 (Legge delega di riforma fiscale) in materia di fiscalità internazionale.

L’articolo 2, D.Lgs. 209/2023, in commento riformula il comma 3 dell’articolo 73, Tuir, in materia di residenza delle società e degli enti.

In buona sostanza, dal 2024, la residenza delle società e degli enti si mantiene riconducibile a 3 criteri alternativi tra loro e da soddisfarsi per la maggior parte del periodo di imposta.

Tuttavia, rispetto alla previgente previsione normativa, vengono eliminati i criteri dell’oggetto principale e della sede dell’amministrazione. I suddetti criteri vengono sostituiti dai criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale”.

Si tratta di concetti di natura sostanziale volti a identificare, rispettivamente, il luogo in cui sono assunte le decisioni strategiche e il luogo in cui si svolgono concretamente le attività di gestione della società o dell’ente.

Il nuovo comma 3 stabilisce, infatti, che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale. Per sede di direzione effettiva si intende la continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società l’ente nel suo complesso. Per gestione ordinaria si intende il continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società ’ l’ente nel suo complesso. Gli organismi di investimento collettivo del risparmio si considerano residenti se istituiti in Italia”.

In sostanza, viene finalmente espunto il criterio dell’oggetto dell’attività che in passato aveva determinato dei dubbi applicativi mentre viene confermato il criterio della sede legale che, però, per i trust non appare essere rilevante.

Il criterio della sede dell’amministrazione viene meglio declinato nelle 2 versioni della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale”.

Dalla definizione proposta nella norma emerge come si tratti della sede del top management e della sede della gestione day by day.

In sostanza, possiamo affermare che entrambe le tipologie di attività decisionale ben si conciliano con i “compiti” tipici del trustee.

L’abbandono del criterio dell’oggetto dell’attività, unito alla conferma della irrilevanza del criterio della sede legale, porta e ritenere oggi più di ieri che la residenza fiscale del trust tenda a coincidere con quella del trustee.

Le presunzioni di residenza

La disciplina fiscale dalla Finanziaria 2007 contiene, altresì, disposizioni che mirano a contrastare possibili fenomeni di fittizia localizzazione dei trust all’estero, con finalità elusive.

Al riguardo, il comma 3 dell’articolo 73, Tuir, introduce 2 casi di attrazione della residenza del trust in Italia:

  • disponente e beneficiario residenti in Italia;
  • apporto di beni immobili da parte di residenti.

Il tema deve essere opportunamente approfondito in quanto, nonostante il comma 3 sia stato integralmente riscritto, le presunzioni in discorso sono state riproposte senza alcuna modifica rispetto al passato.

Disponente e beneficiario residenti in Italia

In base alla prima presunzione, si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scam­bio di informazioni (Paesi non inclusi nella cosiddetta “white list” approvata con Decreto Mef 4 settembre 1996 e successive modificazioni) quando almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

La norma menziona gli “istituti aventi analogo contenuto” a quello di un trust. Come chiarito nella circolare n. 48/E/2007, si è voluto in questo modo tenere conto della possibilità che ordinamenti stranieri disciplinino istituti analoghi al trust ma assegnino loro un “nomen iuris” diverso. Per individuare quali siano gli istituti aventi contenuto analogo si deve fare riferimento agli elementi essenziali e caratterizzanti dell’istituto del trust.

Secondo la circolare, la condizione della residenza italiana del disponente e del beneficiario non deve necessariamente essere verificata nello stesso periodo d’imposta. Infatti, la residenza del disponente, in considerazione della natura istantanea dell’atto di disposizione, rileva nel periodo d’imposta in cui questi ha effettuato l’atto di disposizione a favore del trust. Eventuali cambiamenti di residenza del disponente in periodi d’imposta diversi sono irrilevanti.

Per la parte riguardante il beneficiario, la norma è applicabile ai trust con beneficiari individuati. Ovviamente, i beneficiari non devono essere necessariamente individuati nell’atto istitutivo di trust, ben potendo essere determinati successivamente, ad esempio dal trustee. In questi casi, la circolare ribadisce che la residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust anche se questa si verifica in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust.

La circolare precisa, infine, che ai fini dell’attrazione della residenza in Italia è irrilevante l’avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nel periodo d’imposta.

Disponente residente in Italia e immobile situato in Italia

La seconda presunzione considera fiscalmente residenti in Italia i trust istituiti in Paesi a fiscalità privilegiata (sempre quelli non inclusi nel D.M. 4 settembre 1996) quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che comporti il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.

Invero, la norma non fa riferimento al luogo di ubicazione dell’immobile, ma la circolare n. 48/E/2007 lascia intendere in modo inequivocabile che si tratta di immobili ubicati in Italia.

Nella seconda presunzione perde di rilevanza la residenza dei beneficiari. Si veda la successiva tabella.

Tabella n. 1 – Le presunzioni di residenza del trust

Presunzione

Paese di istituzione del trust

Residenza disponente

Beni disposti in trust

Residenza beneficiari

 
Prima Non incluso nella white list del D.M. 4 settembre 1996 Italia Irrilevanti Italia  
Seconda Immobili situati in Italia Irrilevanti  

 

Una riflessione dopo 17 anni di vigenza della norma

Dopo 17 anni di vigenza della norma, il D.Lgs. 209/2023 l’ha confermata anche per il diciottesimo e gli anni a venire. Sin da subito la previsione sollevava diversi profili di criticità in capo agli operatori. In particolare, il riferimento alla istituzione del trust, in luogo della residenza, portava a ritenere che i trust istituiti in un Paese non collaborativo fossero condannati alla residenza fiscale italiana, quantomeno a livello di presunzione, anche se gli stessi venivano trasferiti in un Paese estero a fiscalità ordinaria.

L’unica via per uscire da questa presunzione era quella di trasferire il trust in Italia, con la consapevolezza, tuttavia, che un eventuale nuovo trasferimento all’estero, ancorché in un Paese non paradisiaco avrebbe nuovamente fatto operare la presunzione in quanto l’istituzione iniziale rappresentava un peccato originale dal quale pareva impossibile redimersi.

Invero, l’esperienza professionale dell’ultimo ventennio porta a ritenere che le ipotesi in cui questa presunzione è stata utilizzata dall’ufficio sono ragionevolmente tendenti allo zero, se non proprio assenti.

Personalmente, non ho mai avuto occasione di incappare in questa casistica né a livello di esperienza professionale né a livello di sentenze note, o anche del mero “sentito dire”.

Quand’anche l’ufficio volesse orientarsi verso questo filone, quantomeno per i trust istituiti negli ultimi anni, le 2 presunzioni potrebbero operare in ipotesi oltremodo limitate, atteso che la lista dei Paesi paradisiaci da leggersi a contrariis come mancata inclusione nel D.M. 4 settembre 1996, appare sempre più ristretta in quanto la lista dei Paesi collaborativi è stata sensibilmente allargata dal D.M. 9 agosto 2016 e dal D.M. 23 marzo 2017. La norma oggetto di analisi, pertanto, tenderà a risultare inapplicabile a causa della progressiva estinzione dei Paesi non collaborativi.

Proponiamo, per completezza, la lista dei Paesi collaborativi inseriti nella white list di cui al D.M. 4 settembre 1996.

Tabella n. 2 – i Paesi collaborativi della white list del D.M. 4 settembre 1996

Albania Alderney Algeria Andorra Anguilla  
Arabia Saudita Argentina Armenia Aruba Australia  
Austria Azerbaijan Bangladesh Barbados Belgio  
Belize Bermuda Bielorussia Bosnia Erzegovina Brasile  
Bulgaria Camerun Canada Cile Cina  
Cipro Colombia Congo Corea del Sud Costa d’Avorio  
Costa Rica Croazia Curacao Danimarca Ecuador  
Egitto Emirati Arabi Uniti Estonia Etiopia Federazione Russa  
Filippine Finlandia Francia Georgia Germania  
Ghana Giappone Gibilterra Giordania Grecia  
Groenlandia Guernsey Herm Hong Kong India  
Indonesia Irlanda Islanda Isola di Man Isole Cayman  
Isole Cook Isole Faroe Isole Turks e Caicos Isole Vergini Britanniche Israele  
Jersey Kazakistan Kirghizistan Kuwait Lettonia  
Libano Liechtenstein Lituania Lussemburgo Macedonia  
Malaysia Malta Marocco Mauritius Messico  
Moldova Monaco Montenegro Montserrat Mozambico  
Nauru Nigeria Niue Norvegia Nuova Zelanda  
Oman Paesi Bassi Pakistan Polonia Portogallo  
Qatar Regno Unito Repubblica Ceca Repubblica Slovacca Romania  
Saint Kitts e Nevis Saint Vincent e Grenadine Samoa San Marino Santa Sede  
Senegal Serbia Seychelles Singapore Sint Maarten  
Siria Slovenia Spagna Sri Lanka Stati Uniti d’America  
Sud Africa Svezia Svizzera Tagikistan Taiwan  
Tanzania Thailandia Trinitad e Tobago Tunisia Turchia  
Turkmenistan Ucraina Uganda Ungheria Uruguay  
Uzbekistan Venezuela Vietnam Zambia    

La residenza fiscale del trust e le convenzioni contro le doppie imposizioni

Il tema della residenza fiscale del trust si interseca inevitabilmente con quello della applicabilità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni.

Già nel 2007, la circolare n. 48/E/2007 ha avuto modo di precisare che per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle Convenzioni contro le doppie imposizioni in quanto le stesse si applicano alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d’imposta, subiscono una doppia imposizione internazionale. L’Agenzia è cosciente che è possibile che i trust diano luogo a problematiche di tassazione transfrontaliera con eventuali fenomeni di doppia imposizione e ciò può accadere quando, ad esempio, il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da quello di residenza del disponente e dei beneficiari.

Che il trust possa essere soggetto a fenomeni di doppia imposizione è evidente, basti pensare al caso di un trust estero con un immobile in Italia. Lo Stato estero potrà ragionevolmente tassare il trust sul reddito ovunque prodotto mentre l’Italia pretenderà di tassare i fabbricati ubicati all’interno del proprio territorio. Ciò che in realtà all’epoca non ci convinceva fino in fondo era il fatto che, in assenza di un’esplicita previsione, le Convenzioni contro le doppie imposizioni potessero trovare applicazione alla fattispecie in esame.

L’Agenzia delle entrate osserva che, poiché, a seguito della modifica dell’articolo 73, Tuir, il trust è annoverato tra i soggetti passivi d’imposta, ai fini convenzionali il trust deve essere considerato come “persona” (“una persona diversa da una persona fisica” di cui all’articolo 4, comma 3, modello OCSE di convenzione per evitare le doppie imposizioni) anche se non espressamente menzionato nelle singole Convenzioni.

Queste conclusioni, che non ci permettiamo assolutamente di contestare, apparivano un po’ semplicistiche all’epoca ancorché favorevoli agli operatori.

Non va dimenticato che l’applicazione della Convenzione può comportare per lo Stato estero una rinuncia alla propria potestà impositiva a fronte della concessione di un credito per le imposte pagate in Italia. Si pensi al caso proposto in precedenza del trust estero con immobili in Italia. L’applicazione della Convenzione imporrà allo Stato estero di concedere un credito a fronte dell’Ires pagata in Italia sui redditi da fabbricati.

L’inclusione di una nuova entità tra i soggetti cui trova applicazione la Convenzione non può avvenire unilateralmente da parte di uno solo dei due Stati.

Al riguardo, sia permesso richiamare il travagliato riconoscimento convenzionale delle stesse società di persone che, essendo prive di personalità giuridica, erano da taluni ritenute estranee all’ambito applicativo delle Convenzioni.

Un lavoro dell’OCSE recepito attualmente nel Commentario sembra averle incluse, non senza qualche incertezza.

Nel caso del trust, l’unica Convenzione che espressamente comprende i trust tra le persone cui si applica la Convenzione stessa, è quella sottoscritta dall’Italia con gli Stati Uniti d’America.

Molti anni sono, tuttavia, passati da quell’intervento dell’Agenzia delle entrate e le evoluzioni dell’OCSE hanno dato ragione all’ufficio.

Infatti, sull’applicabilità al trust delle disposizioni convenzionali è utile richiamare anche il modello OCSE contro le doppie imposizioni del 21 novembre 2017 e l’annesso commentario.

All’articolo 1 relativo ai soggetti cui si applica la Convenzione, da sempre composto solo da un paragrafo, sono stati aggiunti nuovi paragrafi volti anche a contrastare l’utilizzo di strumenti ibridi. Unitamente a nuove precisazioni nel modello di Convenzione, nel commentario è stata introdotta la nuova figura del c.d. “Collective Investment Vehicles – CIV”.

Il punto 22 del Commentario all’articolo 1 evidenzia in estrema sintesi che spesso gli Stati prevedono regimi fiscali differenti in relazione ad investimenti che vengono effettuati direttamente da persone fisiche piuttosto che da più persone che agiscono, invece, attraverso un “CIV”.

I successivi punti 23 e 24, analizzando l’applicabilità delle disposizioni convenzionali ai “CIV”, prevedono che anche a questi “strumenti” dovrebbero potersi applicare le disposizioni convenzionali e il trust è proprio un tipico esempio di “CIV”. Si riporta di seguito l’estratto dei punti 23 e 24 di nostro interesse:

  1. … a CIV would have to qualify as a “person”, that is a “resident” of a Contracting State and, as regards the application of Articles 10 and 11, that is the “beneficial owner” of the income that it receives.
  2. … In many countries, most CIVs take the form of a company. In others, the CIV typically would be a trust. (…) In most cases, the CIV would be treated as a taxpayer or a “person” for purposes of the tax law of the State in which it is established; for example, in some countries where the CIV is commonly established in the form of a trust, either the trust itself, or the trustees acting collectively in their capacity as such, is treated as a taxpayer or a person for domestic tax law purposes.

In sostanza, prescindendo dalle disposizioni attualmente in vigore in base alle singole Convenzioni stipulate tra gli Stati, vi sono spunti nel commentario OCSE 2017 per ritenere che anche ai trust possano trovare applicazione le disposizioni convenzionali.

L’applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni al trust è ammessa anche dalla più recente circolare n. 34/E/2022 ove si legge che “lo stabilimento (rectius, residenza) in uno Stato membro dell’Unione europea o aderente allo SEE, individuato nella prospettiva italiana sulla base dei criteri di cui all’articolo 73 del Tuir, non è in grado di disattivare l’applicazione della lettera g-sexies), nella ipotesi in cui il trust, in virtù della norma interna di tale Stato oppure della eventuale convenzione per evitare le doppie imposizioni da esso sottoscritta con uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, risulti residente in quest’ultimo Stato”.

La residenza fiscale del trust e la disciplina della tassazione dei beneficiari di trust esteri paradisiaci

Un ulteriore aspetto, che tuttavia approfondiremo in un successivo intervento, attiene ai riflessi che la nuova nozione di residenza può determinare sulla disciplina introdotta dall’articolo 13, D.L. 124/2019 che determina la tassazione dei beneficiari fiscalmente residenti in Italia di trust esteri opachi residenti in Paesi a fiscalità privilegiata.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Guida alla riforma fiscale.