La responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza
di Luigi FerrajoliCon la sentenza n. 21566 del 18 settembre 2017, la Prima Sezione della Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità civile degli amministratori e dei sindaci affermando che, per procedere nei confronti di questi ultimi, è sufficiente che essi abbiano omesso di rilevare macroscopiche violazioni degli amministratori e non abbiano agito di fronte alla commissione di atti di dubbia utilità.
Nel caso specifico, il curatore fallimentare aveva citato in giudizio gli amministratori e i sindaci di una S.r.l. per aver violato gli obblighi inerenti alle rispettive cariche e provocato una grave situazione di dissesto economico e patrimoniale. A titolo esemplificativo, sotto gli occhi dei sindaci, gli amministratori avevano assecondato consapevolmente l’attività antieconomica della società, violato i principi di veridicità, trasparenza e prudenza nella formazione dei bilanci, omesso di procedere al recupero di crediti nei confronti di terzi con conseguente lievitazione delle perdite sociali, consentito ai soci di contribuire ad aumenti di capitale attraverso la compensazione con propri crediti e ceduto a prezzo vile crediti vantati dalla S.r.l. nei confronti di società collegate alle proprie controllanti.
In primo grado, la domanda presentata dal curatore veniva accolta, con conseguente condanna dei membri degli organi sociali al risarcimento dei danni. Nel confermare tale pronuncia, la Corte d’appello aveva rigettato l’impugnazione di amministratori e sindaci sottolineando, in particolare, la responsabilità di questi ultimi per non avere, gli stessi – seppur in possesso di tutti gli strumenti per rilevare il dissesto finanziario – individuato i comportamenti illegittimi degli amministratori.
Gli organi sociali avevano quindi proposto ricorso in Cassazione.
Avvalorando l’orientamento dei giudici di primo e secondo grado, la Suprema Corte ha innanzitutto ribadito che, ai fini dell’inosservanza del dovere di vigilanza dei sindaci, previsto dall’articolo 2407, comma 2, cod. civ., non occorre l’individuazione di specifici comportamenti espressamente in contrasto con tale dovere, ma “è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non adempiere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.”. Invero, il ricorso a siffatti rimedi (o anche solo la minaccia di farlo nell’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori) avrebbe potuto evitare (o, quanto meno, ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria (cfr. in tal senso anche Cass. n. 13517/14 e n. 22911/10).
La Cassazione ha rilevato come, nel caso specifico, dal progressivo aumento del passivo e dalle evidenti illegittimità delle scritturazioni di bilancio, il collegio sindacale avrebbe potuto benissimo rendersi conto della strutturale debolezza imprenditoriale della società. Ciononostante esso ha omesso di porre rimedio alla situazione debitoria – ormai irreversibile – e ha sollecitato l’approvazione dei bilanci sulla base delle mere rassicurazioni fornite dagli amministratori circa il futuro ripianamento delle perdite.
La Suprema Corte ha così confermato che i sindaci rispondono in solido con gli amministratori per la violazione dell’obbligo di vigilare con la dovuta professionalità e diligenza sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di correttezza amministrativa nella gestione della società.
In tale contesto, ai fini del riconoscimento della responsabilità dei sindaci, non rileverebbe nemmeno il fatto che essi si siano dimessi da tale carica. In forza di quanto già affermato (Cass. n. 6788/12), deve, infatti, riconoscersi la possibilità di applicare, in via analogica, il regime della prorogatio stabilito per gli amministratori all’articolo 2385 cod. civ. anche ai sindaci, i quali, nel caso in cui la società non si doti di sindaci supplenti, restano responsabili fino alla nomina dei loro successori.
Infine, con riferimento alla risarcibilità del danno per la condotta illegittima tenuta dagli amministratori, con la sentenza in commento la Corte ha negato la possibilità d’individuare sic et simpliciter il danno risarcibile nella differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare e ha affermato l’utilizzabilità di tale criterio soltanto quale parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni, e sempre che risultino indicate le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dei predetti soggetti (cfr. SS.UU. n. 9100/2015, Cass. n. 38/2017 e n. 19733/2015).
Così definitivamente pronunciando, la Cassazione ha respinto il ricorso degli amministratori e dei sindaci e condannato i medesimi al pagamento delle spese di lite in favore del fallimento della S.r.l..