Ne consegue, dunque, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita (cfr., ex plurimis, Cass. 26290/07, 25748/08); e tale principio è ormai applicabile anche ai debiti tributari (v. Cass. 16344/08, 19486/09).
Se da un lato il presidente dell’associazione, nella qualità di legale rappresentante, è chiamato a rispondere solidalmente, sia per le imposte che per le sanzioni, dei debiti contratti dall’ente, dall’altro, il richiamo all’effettività dell’ingerenza – implicito nel riferimento all’aver “agito in nome e per conto dell’associazione”, contenuto nell’art. 38 Cod. Civ. – vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (v. Cass. 5746/07).
In pratica, occorre dimostrare che i componenti del Consiglio Direttivo abbiano svolto attività negoziale in nome e per conto dell’ente nel momento in cui è sorta l’obbligazione tributaria ovvero che tali soggetti abbiano assunto, in qualche modo, la direzione dell’associazione. E di tale circostanza, costitutiva del diritto ad azionare la pretesa, occorre che l’Amministrazione finanziaria dia prova.
Nel caso affrontato nella sentenza in commento, in seguito ad un processo verbale di constatazione, l’Ufficio accertava nei confronti di un’associazione culturale la sussistenza di violazioni IVA per omesse fatturazioni. Divenuto definitivo l’accertamento per mancata impugnazione, venivano notificate quattro distinte cartelle di pagamento nei confronti dei “soci e membri del consiglio direttivo dell’ente”. Questi ultimi impugnavano le iscrizioni a ruolo,
eccependo la carenza di legittimazione passiva di ciascuno, essendo l’associazione cessata da tempo e non avendo essi contratto obbligazioni in nome e per conto della medesima, ai sensi dell’art. 38 Cod. Civ.
La CTP di Roma prima e la CTR del Lazio dopo, davano ragione alla tesi dei contribuenti. Ricorreva per Cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo che in caso di cessazione dell’ente e di decesso del presidente del sodalizio, dovesse essere a carico non solo dei soci che avevano agito in nome e per conto dell’ente, ma anche, in via personale e solidale, di coloro che ne avevano avuto la direzione, per essere stati componenti del consiglio
direttivo dell’associazione. Per tale motivo i soci dovevano essere considerati soggetti passivi d’imposta. Tale assunto dell’Amministrazione finanziaria è stato ritenuto infondato da parte della Suprema Corte. Dall’esame degli atti di causa, compreso il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza prodotto nel giudizio di merito e riportato nel corpo del ricorso per Cassazione, non è emerso alcun elemento probatorio che desse dimostrazione dell’effettiva ingerenza dei soci nell’attività dell’associazione culturale né tanto meno del Consiglio Direttivo. La tesi dei contribuenti è stata pertanto accolta ed il ricorso dell’Agenzia delle entrate rigettato, con conseguente condanna dell’erario alla rifusione delle spese di lite.