26 Novembre 2015

La responsabilità negli enti associativi. Terza parte

di Guido MartinelliMarilisa Rogolino
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Per regola generale, l’obbligazione di risarcire il danno incombe su “colui che ha commesso il fatto” e sempreché si tratti di “fatto doloso o colposo”. A detta regola sono, tuttavia, apportate due importanti serie di eccezioni: la prima è quella della responsabilità indiretta o per fatto illecito altrui, ravvisabile ad esempio nella responsabilità dell’insegnante (articolo 2048, secondo comma, codice civile); la seconda è quella della responsabilità oggettiva che prescinde dal dolo e dalla colpa (es. articolo 2050 codice civile).

Nel caso di danni risentiti dall’allievo a causa dello scarso controllo o dell’imperizia dell’insegnante, oltre alla responsabilità di quest’ultimo, scatta, in base all’articolo 2049 codice civile, la responsabilità solidale della associazione presso la quale opera.

L’associazione, pertanto, risponderà a titolo di responsabilità extracontrattuale dei danni subiti dall’allievo per fatto illecito dell’insegnante posto in essere nell’esercizio delle incombenze a cui è adibito. È la c.d. responsabilità del preponente per i danni causati dal suo preposto.

L’articolo 2049 codice civile, infatti, prevede che degli illeciti commessi da ausiliari dell’associazione, cioè da persone adibite dall’ente a determinate incombenze (es. insegnanti, istruttori, autisti, dirigenti e dipendenti in genere), risponda indirettamente la stessa associazione.

La responsabilità, però, potrà essere affermata soltanto ove vi sia, tra l’associazione e il preposto autore del comportamento colpevole, un rapporto di subordinazione, con conseguente possibilità di controllo e sorveglianza sull’attività del preposto o quanto meno, in mancanza di un rapporto di lavoro subordinato, un generico rapporto di dipendenza anche se di carattere occasionale o temporaneo caratterizzato da un potere di direzione e vigilanza.

Inoltre occorre che il comportamento illecito sia stato tenuto dal preposto nell’adempimento (cd. nesso di occasionalità necessaria) delle mansioni affidategli (per esempio: l’associazione risponderà indirettamente ex articolo 2049 codice civile, dei danni cagionati all’allievo dalla condotta negligente od imprudente di un insegnante ingaggiato dall’ente; o, ancora, risponderà dei danni causati, durante un trasporto di persone, della condotta colposa dell’autista alle dipendenze).

La associazione per esonerarsi dalla responsabilità dovrà fornire la prova dell’insussistenza dei presupposti per l’operatività della norma, contestando che il danno si sia verificato nell’espletamento delle funzioni stesse o assumendo la riferibilità del danno all’attività privata dell’insegnante.

Dunque, sussistendone i presupposti, l’associazione e l’insegnante rispondono, sia pure a diverso titolo, in solido tra loro; ma è evidente che la prima, una volta risarcito il danno, avrà azione di rivalsa per l’intero nei confronti del secondo.

Si deve aggiungere che in qualche caso l’attività svolta da un’associazione presenta caratteri di intrinseca pericolosità. L’esercizio di tali attività è sottoposta alla più pesante forma della responsabilità oggettiva (articolo 2050 codice civile). La giurisprudenza ha considerato ad esempio come attività pericolose lo svolgimento, l’organizzazione e la gestione di alcuni particolari attività sportive, ricreative, rischiose sia per gli utenti che per i terzi.

Detta ipotesi di responsabilità prescinde completamente persino dalla colpa del danneggiante ed è interamente basata sul nesso di causalità tra l’attività esercitata e l’evento dannoso.

Qui la prova liberatoria è piuttosto rigorosa, giacché ci si libera da responsabilità solo dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

L’attività pericolosa deve essere svolta in condizioni di massima sicurezza, con gli accorgimenti tecnici, cautele e precauzioni adottabili nel caso concreto: se ciò nonostante, l’evento dannoso si è ugualmente verificato, solo allora esso dovrà ritenersi inevitabile, in quanto non in rapporto di causalità con lo svolgimento dell’attività dell’associazione.

Un ulteriore profilo di responsabilità da considerare è quello relativo alle cose in custodia. Precisamente, da un lato, viene in considerazione l’ipotesi di cose lasciate in custodia presso i locali dell’associazione; dall’altro, la responsabilità che si profila con riferimento alle strutture ed attrezzature utilizzate, sulle quali l’associazione stessa deve esercitare gli obblighi di custodia.

Per quanto riguarda la responsabilità per le cose in custodia, la norma da prendere in esame è quella di cui all’articolo 1786 codice civile che estende agli imprenditori di case di cura, stabilimenti di pubblici spettacoli, stabilimenti balneari, pensioni e simili la responsabilità dell’albergatore per le cose consegnate e portate in albergo (articolo 1783 e ss. codice civile).

Indubbiamente, l’elemento che accomuna le varie attività previste dall’articolo 1786 codice civile consiste nell’impossibilità in cui viene a trovarsi chi frequenta la struttura di provvedere direttamente, durante la permanenza nei locali, alla custodia degli oggetti personali.

Bisogna, tuttavia, segnalare che appare quanto meno dubbia la possibilità di estendere la responsabilità in esame pure alle strutture gestite da associazioni non lucrative; infatti, sebbene si rinvenga in Giurisprudenza qualche pronuncia favorevole, va notato che la dottrina dominante esclude una simile possibilità, data la palese incompatibilità di dette organizzazioni (avulse da ogni finalità lucrativa, sia pure indiretta) con il carattere di imprenditorialità richiesto dalla norma in commento.