La responsabilità nelle associazioni non riconosciute
di Luigi FerrajoliIn tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, prevista dall’articolo 38 cod. civ. in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente con le esigenze di tutela dei creditori e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell’ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell’attività dell’ente.
È questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella ordinanza n. 2169 del 29.01.2018, la quale ha specificato che per i debiti d’imposta dell’associazione non riconosciuta, i quali non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, è chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all’effettività dell’ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura.
Conseguentemente, secondo la Suprema Corte, la responsabilità solidale del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta per le obbligazioni tributarie accertate a carico dell’associazione, pur non richiedendo la concreta prova dell’attività negoziale compiuta dallo stesso, impone l’accertamento in fatto dell’effettività dell’attività di “direzione” nel complessivo periodo fiscale oggetto dell’accertamento.
L’affermazione della responsabilità del legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta, che abbia effettivamente diretto l’attività dell’ente, trova giuridico fondamento nell’articolo 38 cod. civ. secondo cui: ”Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione” ed è stata costantemente affermata dalla giurisprudenza di legittimità (fra le altre Cassazione sentenza n. 55746 del 12.03.2007, Cassazione ordinanza n. 12473 del 17.06.2015 e Cassazione sentenza n. 19486 del 10.09.2009).
La responsabilità di chi ha agito per l’associazione è accessoria e concorre con quella dell’ente, con la conseguenza che può essere utilizzata dal terzo, in via solidale, solo se sussiste la responsabilità dell’associazione stessa.
Tale responsabilità personale e solidale si configura non come un debito proprio, ma come una forma di fideiussione ex lege disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro.
Al riguardo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12473 del 17.06.2015, aveva già chiarito che “… tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, con la conseguenza che l’obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione”.
In definitiva, occorre evidenziare che nelle associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale prevista dall’articolo 38 cod. civ. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione, non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto; sul punto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19486 del 10.09.2009 ha stabilito che: “La responsabilità personale e solidale prevista dall’articolo 38 cod. civ. di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell’associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario rispetto alla responsabilità dell’associazione stessa […], ne consegue, altresì, che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente”.