La revocazione della sentenza dopo la pronuncia della Corte EDU
di Luigi FerrajoliCon ordinanza n. 2 del 04.03.2015, il Consiglio di Stato ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c. in relazione agli artt. 24, 111 e 117, 1° comma Cost. nella parte in cui non prevedono una specifica ipotesi caso di revocazione della sentenza quando ciò risulti necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 46 par. 1 della CEDU.
Nel caso di specie, alcuni medici assunti dal Policlinico dell’Università degli Studi di Napoli nel periodo intercorrente tra il 1983 e il 1997, prima sulla base di contratti a termine e, poi, sulla base di contratti a tempo indeterminato, nel 2004 avevano presentato ricorso innanzi al Tar Campania chiedendo che fosse riconosciuta ab origine l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente con l’Università (affermando che la qualificazione di “attività professionale” attribuita ai compiti espletati dissimulava un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato) nonché il riconoscimento del diritto al versamento dei relativi contributi previdenziali.
Il Tar campano aveva accolto parzialmente il ricorso, ritenendo sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo; l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, al contrario, pronunciandosi in sede di appello (sentenza n. 4/2007), aveva invece dichiarato i ricorsi inammissibili.
Alcuni dei ricorrenti soccombenti nel giudizio di appello avevano proposto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, con due sentenze del 04.02.2014 (Staibano c. Italia e Mottola c. Italia) divenute definitive il 04.05.2014, aveva dichiarato una violazione degli obblighi convenzionali commessa dallo Stato italiano.
In particolare, la Corte di Strasburgo aveva rilevato una duplice violazione dei diritti dei ricorrenti: veniva infatti accertata l’inosservanza dell’art. 6 par. 1 della Convenzione relativamente al diritto di accesso da parte dei medici lavoratori ad un Tribunale nonché dell’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione alla luce del fatto che il Consiglio di Stato aveva, de facto, privato i ricorrenti della possibilità di far valere il proprio diritto di credito relativo al trattamento pensionistico.
Alla luce delle richiamate sentenze della Corte EDU, i ricorrenti si erano quindi rivolti al Consiglio di Stato per la revocazione della sentenza n. 4/2007 chiedendo – previo riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo – che il rapporto professionale da loro instaurato con l’Università dal 1983 al 1997 fosse dichiarato nullo, ex art. 2126 c.c., per violazione dei principi generali in tema di assunzione dei pubblici dipendenti, determinando il sorgere del diritto al pagamento di tutte le differenze retributive e previdenziali.
Tramite l’ordinanza esaminata, il Collegio, dopo aver chiarito che qualsiasi giudice – allorché si trovi a risolvere un contrasto tra la CEDU e una norma di legge interna – è tenuto a sollevare un’apposita questione di legittimità costituzionale, ha rilevato l’esistenza, nel caso di specie, di un contrasto tra le norme processuali interne e l’obbligo gravante sullo Stato di conformarsi alle sentenze della Corte EDU, essendo in discussione l’ammissibilità del ricorso per la revocazione di una sentenza del giudice amministrativo.
Invero, qualora non fosse ammissibile la revocazione del giudicato, l’ordinamento italiano non fornirebbe ai ricorrenti alcuna possibilità per veder rimediata la violazione dei diritti fondamentali dagli stessi subita.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto pertanto che le norme processuali nazionali che disciplinano i casi di revocazione delle sentenze del giudice amministrativo – id est l’art. 106 c.p.a. e, in quanto richiamati dallo stesso, gli artt. 395 e 396 c.p.c. – siano in contrasto con il vincolo per il legislatore statale di rispetto degli obblighi internazionali sancito dall’art. 117 comma 1 Cost. e che, nel caso di specie, rilevasse con riferimento all’impegno assunto dallo Stato – tramite la legge di ratifica ed esecuzione n. 848/1955 – di conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo. Infatti, non contemplando tra i casi di revocazione quella necessaria per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU, le norme processuali nazionali apparivano in contrasto con l’art 46 CEDU che, invece, sancisce tale obbligo per gli Stati aderenti.
Non potendo autonomamente disapplicare le norme interne incompatibili con la CEDU, il Collegio ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a., 395 e 396 c.p.c. in relazione agli artt. 117 comma 1, 111 e 24 Cost. nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò risulti necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’art. 46 par. 1, della CEDU.
Si attende pertanto la pronuncia della Consulta sul punto controverso.