20 Marzo 2017

La riforma dei reati ambientali

di Luigi Ferrajoli
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Da tempo si attendeva che il Legislatore intervenisse per riorganizzare le disposizioni vigenti in materia ambientale ed in particolare che, alla luce delle note vicende che hanno suscitato clamore tra l’opinione pubblica, rivedesse le fattispecie incriminatrici penali in modo da garantire un’efficace risposta sanzionatoria, concretamente idonea a coprire le più disparate contingenze.

Nel corso degli ultimi anni sono, infatti, diversi i casi, riportati anche dalla cronaca, che hanno visto imprese coinvolte in processi penali per aver causato danni all’ambiente ed alla pubblica incolumità, in ragione dello svolgimento delle attività proprie in mancanza degli opportuni accorgimenti volti a prevenire la commissione di tali pregiudizi, il più delle volte irrimediabili ex post.

Così la riforma del D.Lgs. 68/2015, che sembra essere a tutti gli effetti l’epilogo di un percorso piuttosto travagliato, ha l’enorme pregio di aver introdotto il Titolo VI bis nel codice penale, appositamente dedicato ai “Delitti contro l’ambiente” ove vengono elencate le nuove fattispecie penali, che sono:

Si rileva inoltre che il Legislatore, sempre per assicurare l’effettività della normativa, ha da un lato previsto la punibilità dei delitti di inquinamento e di disastro ambientale anche a titolo di colpa ai sensi dell’articolo 452-quinques c.p., ma dall’altro lato ha introdotto talune circostanze aggravanti, idonee a determinare un aumento della pena base prefissata per ciascuna fattispecie, qualora i reati enunciati nel presente Titolo siano commessi per mezzo di associazioni per delinquere ex articolo 416 c.p. o associazioni di tipo mafioso anche straniere (articolo 416 bis c.p.).

Sino alla riforma del 2015, il sistema sanzionatorio predisposto a protezione delle fattispecie ambientali era per la maggior parte costituito dalle contravvenzioni previste dal Codice sull’Ambiente (D.Lgs. 152/2006), costruite come specifici rimedi da applicarsi in caso di violazioni alla dettagliata normativa ambientale di diritto amministrativo riguardante la gestione dei rifiuti, il trattamento del suolo e del sottosuolo, delle acque e dell’aria.

Si avvertiva così la mancanza di una previsione a carattere generale in grado di sanzionare le ipotesi di evidente compromissione o deterioramento dell’ecosistema alle quali spesso si accompagna il verificarsi di gravi – ed il più delle volte irreparabili – danni alla pubblica incolumità.

Prima dell’intervento del Legislatore si è cercato di sopperire a tale mancanza ricorrendo alla figura del c.d. disastro innominato descritto nell’articolo 434 c.p. il quale punisce chiunque “commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”.

Sulla scarna e poco definita formulazione dell’articolo 434 c.p. si sono innescate plurime discussioni sino alla sentenza della Corte Costituzionale n. 327/2008 la quale, pur avendolo salvato da una pronuncia di incostituzionalità, non ha mancato di confermarne tutte le problematicità del caso evidenziate in sede di applicazione pratica; la Corte Costituzionale ha precisato infatti che la disposizione era stata configurata come norma di chiusura per i delitti contro l’incolumità e come una figura di reato di mero pericolo, non postulando il concreto verificarsi del danno all’integrità pubblica come presupposto integrativo della fattispecie penale ma costituendone una mera ipotesi aggravante.

Il reato di disastro ambientale ex articolo 452 quater c.p. rappresenta, quindi, un decisivo passo in avanti venendo a coprire la lacuna legislativa lasciata dall’articolo 434 c.p..

La nuova norma è stata formulata tenendo in considerazione il contenuto della citata sentenza della Consulta, nella parte in cui aveva evidenziato la necessità di individuare una nozione unitaria di disastro, nella quale dovevano ricorrere – contemporaneamente – due circostanze, ossia la natura straordinaria dell’evento (che deve essere atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi) e il pericolo per la pubblica incolumità che da esso deriva; tuttavia il legislatore, differentemente da quanto prospettato dalla Corte Costituzionale, ha disposto che le due circostanze possano ricorre anche in via alternativa prevedendo che “Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”, ipotesi quest’ultima ora elevata da circostanza aggravante a presupposto integrativo del delitto.

Violazioni amministrative e penali in materia ambientale