3 Luglio 2024

La riforma delle sanzioni introduce l’indetraibilità dell’IVA non dovuta

di Luciano Sorgato
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

All’articolo 2, punto 6, del D.Lgs. di riforma delle sanzioni, viene riformato il comma 6, dell’articolo 6, D.Lgs. 471/1997, prevedendo l’indetraibilità dell’Iva non dovuta.

Più specificamente, nei confronti di chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, viene prevista la sanzione amministrativa pari al 70% dell’ammontare della detrazione compiuta. Nel caso di applicazione dell’imposta con aliquota superiore a quella prevista per l’operazione (o di applicazione dell’imposta per operazioni esenti, non imponibili o non soggette), erroneamente assolta dal cedente/prestatore, il cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa tra 250 euro e 10.000 euro. In tale ultima ipotesi, resta fermo il diritto del cessionario (o del committente) alla detrazione, ai sensi degli articoli 19 e seguenti, D.P.R. 633/1972, della sola imposta effettivamente dovuta, in ragione della natura e delle caratteristiche dell’operazione realizzata.

La modifica introdotta è molto significativa in quanto, mentre la versione letterale attuale del comma 6, dell’articolo 6, D.Lgs. 471/1997, mantiene fermo il diritto del cessionario (o del committente) all’intera detrazione dell’Iva, la nuova versione letterale la raccorda alla sola “imposta dovuta”, in congiunzione con le specifiche peculiarità fiscali dell’operazione. Se, quindi, un’operazione esente viene erroneamente assoggettata ad Iva, l’errata rappresentazione cartolare del paradigma fiscale dell’operazione (con base imponibile soggetta ad Iva, in luogo del previsto regime di esenzione) interdice al cessionario/committente il diritto alla detrazione dell’Iva, in quanto “imposta non effettivamente dovuta”. Costituisce indirizzo interpretativo costante del Giurisprudenza comunitaria, a cui ha da tempo prestato pieno avvallo anche il giudice nazionale, che per “Iva dovuta” si debba intendere solo l’imposta connotabile come tale in base alle prescrizioni della legge e alla specifica configurazione fiscale delle operazioni, sempre come derivante dalle catalogazioni legislative. Fuori dallo schema legale, non vi è l’identità comunitaria dell’imposta e la rappresentazione cartolare che contrassegna erroneamente l’Iva, non assurge ad alcun valore impositivo, rimanendo del tutto estranea alla dinamica impositiva del tributo. L’Iva detraibile, quindi, rimane circoscritta ai soli principi  di corretto governo fiscale delle varie categorie di operazioni e alle sole aliquote applicabili secondo la legge. In virtù di tale revisione legislativa (e dell’introdotto limite del diritto di detrazione dell’imposta), il cessionario o committente è tenuto a verificare la rispondenza a legge della struttura impositiva dell’operazione (imponibile, non imponibile, esente, non soggetta) con manifeste funzioni di supplenza accertativa, che istituzionalmente andrebbero ritenute incentrate sulla sola Amministrazione finanziaria.

Tale allargamento di incombenze di verifica trova avvallo anche nel successivo comma 8, che prevede l’obbligo, nei confronti del cessionario/committente, nel caso di omessa emissione della fattura o di irregolare emissione della medesima, di provvedere a comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle entrate (per non incorrere nella comminazione della sanzione amministrativa pari al 70 % dell’imposta, con un minimo di euro 250), esonerandolo dal solo obbligo di controllare e di sindacare le valutazioni giuridiche compiute dall’emittente della fattura riferite a titoli di non imponibilità, esenzione, esclusione dall’imposta derivanti da un requisito soggettivo dell’emittente medesimo che, peraltro, non si deve rendere immediatamente verificabile. Dalla chiara versione testuale del citato comma 8, appare evidente come la struttura fiscale oggettiva dell’operazione debba, invece, essere giuridicamente sindacata dal cessionario/committente e segnalata l’infrazione entro 90 giorni dal termine di legge in cui doveva essere emessa la fattura, ovvero dalla data della sua emissione irregolare.

Nel caso di fattura con base imponibile assoggettata ad Iva erroneamente assolta dal cedente, in luogo della corretta rappresentazione cartolare del diverso regime Iva (es. di esenzione o di non imponibilità), insorge anche la questione del recupero dell’iva indebitamente versata da parte del cedente (prestatore). La norma di più immediato raccordo appare essere l’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972, a mente del quale: (comma 1) “Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’IVA non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data di versamento della medesima ovvero se successivo dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”, od ancora e con raccordo ancora più specifico (comma 2): “Nel caso di applicazione di un’IVA non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione Finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”.

Nel caso di restituzione spontanea dell’Iva da parte del cedente/prestatore e di regolarizzazione della detrazione dell’Iva non dovuta da parte del cessionario/committente (es. ricorrendo allo strumento del ravvedimento operoso), va verificata la possibilità di poter ricorrere all’ opzione correttiva prospettata dall’articolo 26, comma 7, D.P.R. 633/1972, a mente del quale: “la correzione di errori materiali o di calcolo nelle registrazioni di cui agli artt. 23, 25 e 39 e nelle liquidazioni periodiche di cui all’art 27….deve essere fatta mediante annotazione delle variazioni in aumento nel registro di cui all’art 23 o in diminuzione nel registro di cui all’art. 25…”. La verifica esegetica del ricorso a tale più tempestiva soluzione di ripristino della legalità dell’imposta (in luogo della più farraginosa istanza di rimborso inoltrata all’Agenzia delle entrate) deve sempre dipartire dalla verifica concettuale di “Iva non dovuta”. Per costante indirizzo giurisprudenziale comunitario (Corte di giustizia Causa C-273/2018 (Kursu Zeme), Causa C-628//2016 (Kreuzmayr) e Causa C-5654/2015 (Farkas)) e nazionale (Cassazione n. 10439/2021), l’Iva non dovuta è l’Iva che non riassume il paradigma di tale natura a fondamento causale della sua estraneità alle regole fiscali di governo delle operazioni. Se, ad esempio, un’operazione non è soggetta ad Iva per mancanza del presupposto oggettivo (in quanto non catalogabile come cessione di beni o prestazione di servizi ai sensi degli articoli 2 e 3, D.P.R. 633/1972), l’eventuale base imponibile Ivata non genera sul piano giuridico alcun simmetrico rapporto di Iva a credito/ Iva a debito. Si viene a vertere in un ambito operativo che fuoriesce dall’identità legale dell’Iva. In altri termini, si esce dal governo della regola giuridica e si opera su un mero piano di fatto, di comportamento meramente materiale non coordinato dal diritto.

A supporto della tesi che si intende prospettare, può essere impiegato l’articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972, a mente del quale: “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti….l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”. Tale norma si rende necessaria perché, in assenza di una tale prescrizione, l’emittente non avrebbe alcun obbligo di versarla, non riassumendo un tale ammontare l’identità fiscale dell’Iva (lo riassume solo in virtù di una convenzionale equiparazione legislativa che le assegna tale natura fuori dagli schemi legali di funzionamento dell’imposta). Proprio dal citato articolo 21, comma 7, D.P.R. 633/1972, deriva, in coerenza con l’indicato indirizzo del Giudice europeo e nazionale, che solo l’Iva che si configura come tale, in virtù delle precise regole di diritto che ne coordinano il funzionamento, genera sul piano giuridico la sua autentica dinamica impositiva.

Fuori da tale ambito, si verte in un ambito estraneo al diritto, e, quindi, in un ambito di fatto ossia materiale. L’opzione correttiva dell’articolo 26, comma 7, D.P.R. 633/1972, ed il metodo semplificato di ripristino del regime legale dell’Iva in esso previsto, consente il rapido ripristino della neutralità dell’Iva nei confronti di operatori economici che, si deve sempre considerare, riassumono solo la veste di meri ausiliari della riscossione erariale e non soggetti che godono dell’atto di consumo finale del bene/servizio, manifestando l’indice di capacità contributiva. Verso i medesimi, la neutralità è a tutela anche di ogni deficit finanziario da cui devono rimanere immuni, proprio per il fondamentale motivo che non sono loro i detentori dell’atto di forza economica che sul piano costituzionale giustifica l’incisione fiscale. L’istanza di rimborso secondo i procedimenti dell’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972, rallenta il ripristino della neutralità dell’Iva, procurando un aggravio finanziario lesivo del fondamentale principio euro unionale della neutralità dell’Iva e andrebbe, quindi, subordinata alla più tempestiva operatività del rappresentato articolo 26, comma 7, D.P.R. 633/1972.