La riforma fiscale non risolve le incoerenze impositive degli immobili strumentali nel reddito di lavoro autonomo
di Luciano SorgatoLa riforma fiscale non corregge le criticità di coerenza fiscale nella disciplina degli immobili degli esercenti arti e professioni e, anzi, rischia di introdurre incongruenze ancora più marcate rispetto all’attuate governo fiscale. L’indagine deve dipartire dall’intersezione normativa degli articoli 43 e 54 quinquies, Tuir, nella versione letterale introdotta dal Decreto del Consiglio dei ministri approvato lo scorso 30.4.2024 (non ancora in vigore).
Alla qualificazione degli immobili come strumentali provvede legislativamente, come noto, l’articolo 43, Tuir, il cui comma 1 testualmente espone: “Non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni “. La rappresentata norma raccorda, quindi, la mancanza di autonomia impositiva degli immobili a due criteri diversi:
- al regime di appartenenza al compendio patrimoniale d’impresa per gli immobili commerciali;
- alla natura di beni strumentali per gli immobili impiegati nell’esercizio di arti e professioni.
Il comma 2, del citato articolo 43, Tuir, completa la cornice normativa con la nota precisazione che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o della professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore. Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato, salvo quanto disposto dall’art 65, comma 1 (il quale perimetra con specifico inventario i beni relativi impresa)”.
Dal riportato elaborato legislativo deriva che, nel reddito di lavoro autonomo l’immobile non genera autonomamente reddito fondiario, alla condizione che presti esclusivo ausilio strumentale nell’esercizio della professione, dal momento che, mentre nel regime d’impresa, prima ancora della condizione di esclusiva sinergia dell’immobile nell’operatività d’impresa, è la condotta contabile a coordinarne il regime fiscale (articolo 65 Tuir), nel reddito di lavoro autonomo il parametro legislativamente prescelto è solo raccordato all’uso dell’immobile.
Allo scopo di dirimere il rapporto impositivo tra autonomo reddito fondiario e reddito di lavoro autonomo (ed evitare forme distorsive di doppia imposizione fiscale), la versione letterale del nuovo articolo 54 quinquies (ripetendo l’attuale disposto dell’articolo 54, comma 3, Tuir) testualmente dispone: “Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile un importo pari al 50% della rendita catastale ……. a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile, adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o della professione”. Nel reddito di lavoro autonomo, quindi, nel caso di combinazione d’uso promiscua degli immobili, il legislatore intende perseguire una simmetria impositiva, prevedendo che:
- se l’immobile viene utilizzato esclusivamente per l’esercizio professionale, il medesimo concorre con le sue sinergie logistiche a determinare il reddito di lavoro autonomo e non genera alcun reddito fondiario;
- se l’immobile viene impiegato con sinergie solo parziali nell’esercizio dell’arte o della professione, il reddito fondiario, non frazionabile, pari alla rendita catastale, viene nettizzato per il 50%, mediante il riconoscimento di un diritto di deduzione pari al 50% della medesima rendita catastale nel reddito di lavoro autonomo.
Tuttavia, nel prevedere la condizione che nel medesimo comune l’esercente l’arte o professione non deve disporre di altro immobile esclusivamente dedito all’uso professionale, l’indicata simmetria viene perseguita solo parzialmente, permanendo, in tal caso, una forma di parziale doppia imposizione. Infatti, nel caso di ubicazione nel medesimo comune di due immobili di cui uno usato esclusivamente per scopi professionali ed un altro per uso anche personale, in ordine a tale immobile promiscuo si rende tassabile l’autonomo reddito fondiario, senza l’indicata correzione forfettaria, con la rappresentata distorsione della parziale doppia imposizione. Si potrebbe ritenere che tale condizione limitativa risponda ad una connotazione antielusiva, allo scopo di evitare l’uso artificioso dell’immobile promiscuo, ritenuto su base presuntiva non necessario se nel medesimo comune il lavoratore autonomo già possiede un immobile esclusivamente dedito alla professione. Anche in tal caso, però, andrebbero salvaguardate le effettive combinazioni d’uso dell’immobile, prevedendo, in modo specifico, la disapplicazione della norma e regolando l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Ma la questione che rimane del tutto trascurata è l’individuazione di un raccordo stabile dell’immobile al reddito di lavoro autonomo.
Nel reddito d’impresa, l’articolo 65, Tuir, connette a definite condotte contabili il regime fiscale dell’immobile. Tale norma disponendo testualmente: “Gli immobili di cui all’art 43, 2° comma si considerano relativi all’impresa solo se indicati nell’inventario…”, raccorda ad un’opzione scritturale la connotazione fiscale dell’immobile, assumendolo a bene d’impresa, anche nel caso dovesse poi venire smesso da impieghi operativi nel processo produttivo. In altri termini, nel reddito d’impresa qualsiasi concreto scopo d’uso dell’immobile arretra rispetto alla sua rappresentazione contabile. Rimane incapsulato nelle regole fiscali del reddito d’impresa, anche se operativamente viene reso quiescente da ruoli attivi nelle dinamiche imprenditoriali (semmai e sempreché non disponga delle prerogative strutturali che lo identificano in ogni caso come immobile strumentale (la cd strumentalità per natura), compromette tale qualità e preclude il diritto di deduzione delle quote di ammortamento.
Nel reddito di lavoro autonomo, invece, mancando ogni raccordo fiscale con l’indicata condotta contabile, l’immobile viene attratto od espulso dal reddito professionale, in virtù del suo solo impiego esclusivo o meno nell’esercizio dell’arte o della professione.
Mentre, se nel reddito d’impresa l’immobile mantiene tale natura e raccorda il governo delle relative regole fiscali all’articolo 90, Tuir, senza comunque fuoriuscire dal compendio patrimoniale dell’imprenditore, nel reddito di lavoro può venirsi a registrare una reiterata mobilità di connotazione fiscale in esclusiva dipendenza del suo impiego operativo, con conseguenze fiscali che non appaiono essere state originariamente ponderate dal legislatore. In caso di impiego anche solo promiscuo dell’immobile, quest’ultimo non solo disperde la qualifica di immobile strumentale, ma, in virtù della sua estromissione dal reddito di lavoro autonomo, viene anche a generare una plusvalenza per finalità estranee all’esercizio dell’arte o della professione, dimensionata sul valore normale del bene. E, qualora, nel proseguo dovesse tornare a ripristinare un esclusivo raccordo d’uso con l’attività artistica/professionale, l’immobile tornerebbe ad essere rilevante nella determinazione del reddito di lavoro autonomo (cessando di essere produttivo di autonomo reddito fondiario). Un’alternanza di connotazioni fiscali che si trascina una mobilità di conseguenze impositive poco inclini a rivelarsi come coerenti in un sistema tributario che deve avvertire la necessità di cercare la stabilità degli effetti, proprio come perseguita nel reddito d’impresa.
Andrebbe, quindi, verificata l’opportunità di intravedere e regolamentare, anche nel reddito di lavoro autonomo, uno specifico compendio patrimoniale, che senza arrivare ad assumere le prerogative e la connotazione dell’azienda, inconciliabile con la figura del professionista, consenta di evitare la reiterazione della natura di reddito fondiario – reddito di lavoro autonomo anche per gli immobili del professionista.