La rilevanza del controllo congiunto ai fini della CFC rule
di Marco BargagliQualora un soggetto residente in Italia detenga, direttamente o indirettamente, il controllo di una società residente o localizzata in Stati o territori con regime fiscale privilegiato, i redditi conseguiti dal soggetto estero sono tassati per trasparenza in capo al soggetto controllante residente in Italia.
La CFC legislation (Controlled Foreign Companies) è infatti una norma posta a contrasto dei paradisi fiscali, che vuole contrastare la fittizia localizzazione all’estero di una società controllata, in Stati o territori a fiscalità privilegiata, in assenza di una reale attività economico-imprenditoriale svolta oltrefrontiera.
Conseguentemente, al ricorrere dei presupposti previsti dall’articolo 167 del Tuir, si rende applicabile la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano dei redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato che è residente in un paradiso fiscale, fatta salva la dimostrazione delle esimenti previste dalla normativa in rassegna.
La definizione di controllo richiamata dalla normativa fiscale, è quella contenuta nell’articolo 2359, comma 1, del codice civile, ai sensi del quale si considerano società controllate:
- le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di diritto);
- le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (c.d. controllo di fatto);
- le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (c.d. controllo contrattuale).
Tuttavia, al di là delle disposizioni civilistiche, il controllo rilevante ai fini della CFC sussiste quando il soggetto italiano, in virtù della partecipazione detenuta nel capitale sociale della controllata, ossia di altri rapporti di tipo contrattuale, è in grado di incidere nelle scelte operative, gestionali e strategiche che investono l’impresa estera.
Ciò posto, una questione di indubbio interesse operativo riguarda l’applicazione della CFC rule nelle ipotesi di controllo congiunto, ossia nei casi in cui due o più soggetti partecipano al capitale sociale della legal entity.
Sul concetto di controllo rilevante ai fini della CFC, si è espressa la risoluzione 326/E/2008 nella quale l’Agenzia delle Entrate, richiamando un altro documento di prassi, ha precisato che: “la nozione di controllo individuata dall’articolo 2359 cod. civ. presuppone necessariamente l’esistenza di una situazione in cui un unico soggetto ha la capacità di influire in modo determinante sulle scelte operate da un altro soggetto (..) omissis (..) la nozione di controllo di cui all’articolo 2359 cod. civ., non esclude in termini assoluti la possibilità che anche in presenza di una partecipazione paritetica alla società (50 per cento ciascuno) sia individuabile una situazione di controllo da parte di uno dei due soci. Infatti, l’ampiezza del concetto di controllo prevista dall’articolo 2359 del cod. civ. richiede necessariamente un’analisi approfondita del complesso dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti al fine di verificare se uno di essi eserciti sull’altro un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa”.
In buona sostanza, l’eventuale controllo congiunto da parte di due o più soggetti non esclude, di per se, l’applicazione delle norme in tema di CFC.
Tuttavia, occorrerà esperire un’attenta analisi finalizzata a riscontrare i poteri riservati ai vari soggetti che partecipano al capitale sociale dell’impresa estera, onde individuare il soggetto che esercita una forma di controllo dominante sulla controllata.
Infine, con riferimento alle joint–venture, l’Agenzia delle Entrate ha escluso che il peculiare schema contrattuale possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 2359 del cod. civ. rilevante ai fini CFC.
Infatti, le joint–venture sono normalmente regolate da accordi contrattuali che prevedono una partecipazione paritetica dei soci alle decisioni più importanti della società, nonché la ripartizione paritetica della composizione degli organi di governo della stessa.
In tali circostanze, anche sulla base delle argomentazioni espresse nella risoluzione AdE 376/E/2007 non è in genere ravvisabile, in capo ad alcuno dei due soci, una situazione di controllo di fatto o contrattuale.
Infatti, la struttura societaria caratterizzata da un eguale peso attribuito ai partecipanti (c.d. joint-venture paritetica) è finalizzata ad evitare che uno dei due soggetti, singolarmente considerati, possa condizionare autonomamente le scelte della società partecipata.