4 Ottobre 2023

La rilevanza fiscale degli Incoterms – seconda parte

di Roberto Curcu
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La scheda di FISCOPRATICO

In un precedente contributo, è stato esaminato un particolare aspetto nell’applicazione delle clausole Incoterms, per quanto riguarda le importazioni,  precisando che, ad esempio, la clausola DDP non dovrebbe essere utilizzata nelle transazioni che prevedono il passaggio di una dogana, salvo che il venditore non sia in grado di adempiere alle formalità doganali per introdurre la merce nel Paese del cliente (cosa che tipicamente avviene quando il cliente è un consumatore finale e si opera, ad esempio, nel commercio online).

La clausola Incoterms determina, quindi, il soggetto che deve curare adempimenti, sopportare rischi e costi nel trasferimento della merce e, come è stato accennato nel precedente contributo, va analizzata per verificare che la base imponibile della merce in importazione sia stata calcolata correttamente, in quanto deve includere le spese di spedizione che, a seconda della clausola Incoterms, possono essere o meno giàincluse nel prezzo della merce.

Volendo essere più precisi, tuttavia, la base imponibile in importazione include le spese di inoltro della merce fino al primo punto della UE che è indicato nel documento che accompagna la merce; questa particolarità della disciplina doganale deve essere tenuta in considerazione anche ai fini Iva, posto che le medesime spese di spedizione sono non imponibili ai fini Iva, solo nel limite in cui hanno concorso a formare la base imponibile della merce in importazione. Un esempio aiuta meglio a comprendere la cosa.

Se una impresa di Milano compra merce FOB Baltimora da un venditore di Denver, significa che il venditore si occupa di portare la merce fino a bordo la nave ormeggiata a Baltimora, dopo di che i costi sono a carico dell’acquirente italiano, il quale dovrà incaricare lui un trasportatore per portare la merce fino a Milano. Il trasportatore, quindi, emetterà fattura per il trasporto da Baltimora a Milano e tale trasporto sarà non imponibile, ai sensi dell’articolo 9 D.P.R. 633/1972, solo nel limite in cui il corrispettivo dello stesso ha concorso a formare la base imponibile in dogana. Si supponga, ora, che solo la parte di trasporto Baltimora-Genova sia entrata nella base imponibile della merce in importazione, in quanto il documento che accompagnava la merce prevedeva la città ligure come primo punto europeo di consegna. In questo caso, il corrispettivo relativo alla tratta Genova-Milano deve essere assoggettato ad Iva. L’impresa di Milano, qualora si sia rivolta ad un trasportatore nazionale, dovrà verificare la correttezza della fattura emessa in parte non imponibile (articolo 9, D.P.R. 633/1972) ed in parte con Iva, ma se avesse dato incarico a trasportatore estero, dovrebbe effettuare il reverse charge (integrando la fattura del fornitore comunitario o emettendo autofattura per il trasportatore extracomunitario), utilizzando l’articolo 9, D.P.R. 633/1972, solo nel limite dell’importo già confluito nella base imponibile in importazione.

Le clausole Incoterms servono anche per capire chi deve curare le pratiche di esportazione dal Paese da cui parte la merce. Sul punto, troppe imprese utilizzano anche nelle esportazioni la clausola EXW (Ex Works), traducibile con il nostro “franco fabbrica”, cioè quella situazione nella quale il venditore non cura nessun adempimento, se non quello di mettere a disposizione la merce presso i propri locali. Lo stesso Incoterms precisa che la clausola EXW viene utilizzata “generalmente” quando la merce già si trova nella giurisdizione del venditore o nella stessa unione doganale.

Questo perché, con tale clausola, la partecipazione del venditore nello sdoganamento all’esportazione è limitata a fornire assistenza nell’ottenimento di documenti e informazioni di cui il compratore abbia eventualmente bisogno per l’esportazione della merce. Nel caso in cui il compratore intenda esportare la merce e ritenga difficile ottenere lo sdoganamento all’esportazione, è consigliabile che scelga la regola FCA, in base alla quale l’obbligo e le spese relative allo sdoganamento all’esportazione spettano al venditore.

In particolare, per dimostrare l’uscita della merce dalla UE, ai fini della non imponibilità Iva, l’esportatore deve conservare una copia del documento doganale (il quale riporta un numero di MRN) e scaricare dal sito dell’Agenzia delle dogane il “visto uscire”. Ora, se la dichiarazione doganale viene curata dal cessionario non residente, magari in uno Stato diverso dall’Italia, per il cedente potrebbe essere molto complicato ottenere copia di tale documento doganale, con il relativo codice MRN, senza la collaborazione del cliente. In questo senso, per le esportazioni si suggerisce di utilizzare la clausola FCA (o “franco corriere”) che:

  • viene utilizzata, in genere, quando il venditore porta la merce presso i locali del corriere incaricato dal compratore;
  • richiede che il venditore, se del caso, sdogani la merce all’esportazione”.

In sostanza, il venditore deve redigere la bolletta doganale di esportazione e consegnarla al corriere insieme alla merce, in modo che tale vettore, quando giungerà alla dogana di uscita, faccia appurare tale documento doganale. In questo senso, il venditore – che è già in possesso di copia del documento doganale di esportazione con relativo MRN – dovrà solo scaricare il visto uscire dal sito dell’Agenzia delle dogane.

Una ultima annotazione: la clausola FCA prevede che sia necessario definire il luogo di consegna, che potrebbe anche essere presso i locali del venditore. In sostanza, con la clausola FCA è possibile che il vettore incaricato dal compratore ritiri la merce presso i locali del venditore (esattamente come nella clausola EXW), solo che a differenza di quest’ultima, il venditore provvede a curare la pratica di esportazione, riducendo quindi i rischi di non ottenere le prove di esportazione, ai fini della non imponibilità Iva.