La rilevanza fiscale e contributiva delle attività degli influencer
di Alessandra MagliaroSandro CensiL’avvento dei social ha modificato, in maniera decisamente rilevante, quelle che, da tempo, sono le modalità di diffusione dei messaggi promozionali e pubblicitari.
La prima di queste modifiche è, naturalmente, lo strumento utilizzato e cioè i cd. social al posto, o a fianco, dei media classici quali radio, tv, magazines, eccetera.
L’altra rilevante modifica, comunque collegata alla precedente, è data dal fatto che a diffondere il messaggio non è più solo quello che viene definito testimonial – ovverossia un soggetto famoso per altri meriti (sportivi, artistici ecc.) – ma anche, e soprattutto, un soggetto divenuto famoso solo per le apparizioni sui social.
Ed invero, sempre più spesso, l’influencer diventa noto proprio perché appare sui social. In sostanza, l’apparizione costante genera notorietà (valutata in base al numero dei follower) e tale notorietà genera ricchezza. In verità, non appare corretto parlare solo di influencer, dal momento che la categoria degli operatori social è molto ampia. Senza pretesa di esaustività e solo in via di prima approssimazione, ricordiamo, in questa sede, alcune delle varie attività esercitate da questi “professionisti del web”. Sulla base della piattaforma utilizzata si può parlare, ad esempio, di youtuber, di blogger, di instagrammer, twitcher ecc. Inoltre, relativamente, ad esempio, all’attività di influencer marketing, si può ipotizzare una ulteriore divisione tra: i cd. trend setter (soggetti che lanciano nuove tendenze d’acquisto), esperti di settore (coloro che utilizzano la loro expertise tecnica per influenzare gli acquisti nel settore), celebrities (cioè coloro che utilizzano la propria notorietà per influenzare le scelte d’acquisto), eccetera.
Ulteriore caratteristica di queste attività, è la possibile quantificazione del successo ottenuto sui social. Si tratta, in particolare, della quantificazione dei cosiddetti followers, in base alla quale gli operatori vengono divisi e solo quando l’operatore social raggiunge un elevato numero di followers viene definito come influencer. Tale modalità di quantificazione può differenziarsi a seconda della piattaforma utilizzata. Una ipotesi, ad esempio, è quella che li suddivide tra: nano-influencers fino a 1.000 seguaci o followers, micro-influencers fino a 100.000 followers e influencers tra i 100.000 e i 500.000 followers fino ad arrivare ai macro-influencers, che possono vantare milioni di seguaci.
Questa prima veloce panoramica consente già di individuare alcune problematiche, davanti a cui si trovano i consulenti giuridico-tributari del settore.
Ad esempio, l’utilizzo di canali web/social per esercitare l’attività, che produrrà notorietà prima e reddito poi, comporta problemi ed incertezze relativamente alla localizzazione del reddito generato.
Altrettante problematiche ed incertezze sorgono, poi, in relazione al trattamento fiscale e previdenziale di queste nuove realtà. È evidente che la non perfetta aderenza tra i nuovi fenomeni da disciplinare e l’utilizzo di “vecchi” istituti comporta, spesso, difficoltà pratico-operative di adattamento.
Certamente di ausilio possono essere le prime sentenze emanate in materia che, analizzando il fenomeno, ne delimitano i confini civilistici prima e tributari poi.
Cruciale appare, di volta in volta, la preliminare individuazione dell’attività svolta in pratica, che comporterà una conseguente qualificazione civilistica e tributaria. Altrettanto basilare risulta, poi, verificare le modalità di svolgimento dell’attività stessa e, a mero titolo di esempio, se essa è compiuta in via occasionale o abituale/professionale.
Partendo dall’analisi di quegli operatori che possono essere definiti come influencer essi, come detto, possono essere individuati in quei soggetti che sfruttano la loro popolarità on-line per cercare di influenzare i comportamenti di acquisto dei propri followers, attraverso post promozionali più o meno “trasparenti”.
Molteplici sono le modalità attraverso le quali tali soggetti cercano, appunto, di influenzare gli acquisti dei propri followers ma, dal punto di vista giuridico, ciò che più rileva è la natura degli accordi contrattuali che gli stessi stipulano con i brand.
A mero titolo di esempio, l’influencer:
- può ricevere un compenso predeterminato per l’attività promo-pubblicitaria svolta sui social;
- può accettare, dietro compenso, di inserire sulle proprie pagine social un banner pubblicitario che rinvia al sito web del brand;
- può ricevere un compenso percentuale collegato alle vendite promosse sulla propria pagina social.
Proprio tale ultima fattispecie è una di quelle esaminate dalla Sentenza del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, n. 2615/2024, che ha riconosciuto la natura di rapporto di agenzia in quello stipulato tra l’influencer e il brand.
Analizzando il contratto stipulato tra le parti, i giudici hanno dato rilievo al fatto che, nello stesso, si prevedeva che l’oggetto del contratto fosse “non la mera propaganda (del prodotto n.d.r.) ma quello di vendere i prodotti promossi direttamente ai followers di quell’influencer, tanto che il followers in sede di acquisto deve inserire il codice di sconto personalizzato associato all’influencer, raggiungibile unicamente attraverso le pagine social dell’influencer, pertanto ogni volta che un acquisto viene effettuato attraverso quel codice, il relativo ordine viene contrattualmente considerato come direttamente procurato dall’influencer”.
Pertanto, secondo il Tribunale di Roma, le modalità peculiari di svolgimento dell’attività esaminata qualificano la stessa come di agenzia (con l’assoggettamento ai relativi contributi previdenziali previsti per tale fattispecie).