29 Giugno 2015

La rilevanza “sostanziale” degli acconti ai fini dell’IVA

di Marco Peirolo
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Il pagamento anticipato, in tutto o in parte, del corrispettivo integra il momento di effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, vale a dire quelle che soddisfano i presupposti oggettivo, soggettivo e territoriale.

Secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, tale evento – cioè il pagamento anticipato, totale o parziale, del prezzo – assume rilevanza “sostanziale”, in quanto idoneo, di per sé, ad integrare il momento impositivo e, quindi, anche l’esigibilità dell’imposta (Cass. 22 maggio 2015, n. 10606 e 26 febbraio 2014, n. 4618).

L’art. 6, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 prevede, infatti, che la cessione o la prestazione si considera effettuata qualora, “anteriormente al verificarsi degli eventi” che individuano il momento di effettuazione “ordinario”, ovvero “indipendentemente da essi”, venga emessa fattura o abbia luogo il pagamento totale o parziale del corrispettivo; ovviamente, in tali ipotesi, l’operazione si considera effettuata “limitatamente all’importo fatturato o pagato”.

È utile fare alcune considerazioni di carattere generale sugli acconti al fine di definire i limiti applicativi della deroga anticipativa per essi prevista, i cui effetti si riverberano sulla posizione del cessionario/committente e, dunque, sulla detrazione dell’imposta.

Un primo aspetto da tenere presente è che non si possono assoggettare a IVA gli acconti versati per cessioni di beni o prestazioni di servizi non ancora chiaramente individuate. Questo principio, espresso dalla Corte di giustizia nella sentenza Bupa Hospital, di cui alla causa C-419/02 del 21 febbraio 2006, è stato più recentemente confermato, dagli stessi “euro-giudici”, nei casi Mac Donald Resort (causa C-270/09 del 16 dicembre 2010) e Firin (causa C-107/13 del 13 marzo 2014).

In pratica, per l’anticipazione dell’esigibilità e, secondo la disciplina domestica, anche del momento impositivo, è necessario che tutti gli elementi idonei a qualificare l’operazione (rectius, la futura operazione) siano già conosciuti. Insomma, i beni/servizi per i quali è pagato un acconto devono essere individuati con precisione e non in modo generico.

È interessante osservare come questo presupposto sia stato recepito dalla proposta di Direttiva comunitaria COM (2012) 206 del 10 maggio 2012 in materia di “voucher”, la quale distingue i “buoni monouso” (single purpose voucher) dai “buoni multiuso” (multiple purpose voucher) a seconda che, all’atto dell’emissione del buono, siano già noti l’identità delle parti, il luogo dell’operazione e l’aliquota IVA applicabile ai beni/servizi.

In particolare, laddove al momento dell’emissione siano conosciuti i suddetti elementi dell’operazione, le somme versate per l’acquisizione del buono si considerano come pagamento anticipato della cessione/prestazione sottostante al buono e, quindi, sono soggette a IVA al momento dell’incasso. Per contro, l’operazione è assoggettata ad imposta al momento del riscatto del buono, con la conseguente irrilevanza delle somme corrisposte per l’emissione e la circolazione dei buoni prima del loro riscatto e, quindi, del consumo finale.

Ed è proprio in coerenza con i princìpi espressi dalla richiamata giurisprudenza comunitaria che la Commissione europea, nell’ambito della proposta di Direttiva, ha modificato l’art. 65 della Direttiva n. 2006/112/CE equiparando i “buoni monouso” agli acconti ai fini dell’esigibilità dell’IVA.

Peraltro, le modifiche in esame sono in linea con le indicazioni contenute nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 21 del 22 febbraio 2011, che assimila i voucher ai titoli rappresentativi di beni/servizi se sono noti tutti gli elementi dell’operazione, ovvero – in caso contrario – ai documenti di legittimazione, di cui all’art. 2002 c.c., la cui emissione e circolazione resta esclusa da IVA sino al riscatto dei buoni.

Un ulteriore aspetto da considerare in merito agli acconti è l’elemento materiale dell’operazione, cioè il requisito dell’esecuzione – in senso “fisico” – della cessione, con la consegna del bene al cessionario che ha pagato in anticipo il corrispettivo, sia pure in parte.

Sul punto, la sentenza Firin, in precedenza citata, ha evidenziato che la detrazione può essere negata soltanto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria sia in grado di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il cessionario sapesse o dovesse sapere di partecipare, con l’acquisto, ad una evasione realizzata dal cedente o da altro operatore intervenuto nella catena delle operazioni (si veda anche, sul riparto dell’onere della prova, il documento della Fondazione nazionale dei commercialisti e della Scuola di Polizia tributaria della Guardia di Finanza del 15 giugno 2015).

Il carattere fraudolento dell’operazione rappresenta, pertanto, il limite alla detraibilità dell’imposta pagata sull’acconto, nel senso che la mancata esecuzione finale della cessione non è idonea a precludere la detrazione se non imputabile all’intento elusivo o evasivo conosciuto o conoscibile, secondo l’ordinaria diligenza, dal cessionario.

In linea con questa conclusione può richiamarsi la sentenza n. 4618/2014, con la quale la Suprema Corte ha ritenuto indetraibile l’IVA versata dal promittente acquirente al promittente venditore per il pagamento anticipato del corrispettivo relativo alla compravendita di un bene immobile, laddove la mancata stipula del contratto sia dovuta all’intento fraudolento perseguito dalle parti.