La ritenuta sui contributi erogati alle aziende agricole
di Alberto RocchiLuigi ScappiniTra le varie forme di sostegno alle imprese, assumono particolare rilevanza i contributi loro concessi a vario titolo, che nella prassi si distinguono tra contributi in conto esercizio, in conto impianti o in conto capitale.
In caso di erogazione di contributi a fondo perduto, ai sensi dell’articolo 28, comma 2, D.P.R. 600/1973, il soggetto erogatore è tenuto ad applicare una ritenuta alla fonte in misura pari al 4%; tuttavia, sfuggono a tale imposizione alcune forme di aiuto, in ragione sia di motivazioni soggettive sia oggettive.
In particolare, con la risoluzione 150/E-III-5-2019 del 5 giugno 1995, è stato precisato che la ritenuta si applica esclusivamente ai soggetti che “producono un reddito di impresa”. L’indicazione ministeriale è pienamente in linea con la lettera della norma: in tale senso depone la presenza dell’inciso “imprese” all’interno dell’articolo 28 D.P.R. 600/1973, richiamato.
A conferma di tale impostazione, si può citare la Nota n. 8/50042 del 13 ottobre 1975, con cui viene precisato che il termine “imprese” deve essere interpretato quale impresa commerciale, con l’esclusione, quindi, delle imprese agricole che svolgono attività diverse da quelle previste all’articolo 55 Tuir.
La ritenuta, quindi si applica anche alle società di persone (escluse le società semplici) nonché a quelle di capitali che svolgono attività agricola in quanto il reddito prodotto è di impresa, come confermato dall’Agenzia delle entrate, con la circolare 32/E/2009: “la ritenuta d’acconto del 4 per cento deve essere applicata sui contributi corrisposti alle imprese agricole costituite sotto forma di società di persone, oltre che di capitali, in quanto i redditi da esse prodotti sono considerati redditi d’impresa in forza del combinato disposto dell’articolo 6, comma 3 e dell’articolo 51, comma 2, lettera c) [ora articolo 55, comma 2, lett. c] del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917”.
Non vi è dubbio alcuno che anche i contributi erogati alle società agricole, abbiano optato o meno per la determinazione del reddito secondo le regole di cui all’articolo 32 Tuir (come concesso dall’articolo 1, comma 1093, L. 296/2006 cd. Finanziaria per il 2007), debbano a loro volta scontare la tassazione provvisoria alla fonte, in quanto l’articolo 3 D.M. 213/2007, disciplinante le modalità applicative dell’opzione per il catastale, stabilisce che il reddito conseguito dalla società non perde la propria natura di reddito d’impresa.
In ragione di quanto sin qui esposto, per i contributi a fondo perduto erogati a soggetti che per natura dichiarano un reddito fondiario, ditte individuali, società semplici e enti non commerciali, la ritenuta di cui all’articolo 28, comma 2, D.P.R. 600/1973, non trova applicazione, mentre colpisce tutti gli altri soggetti, a prescindere dalle modalità di quantificazione del reddito: analitico, ordinario o forfettario catastale su opzione.
Ma cosa accade quando i soggetti che per natura dichiarano un reddito fondiario non rispettano i parametri richiesti dall’articolo 32 Tuire quindi diventano titolari, in uno o più periodi d’imposta, anche un reddito di impresa in combinazione con il reddito agrario?
Ci stiamo riferendo alle ipotesi in cui l’impresa eserciti l’allevamento di animali o le coltivazione in serra oltre i limiti prescritti al comma 2, lettera b), confluendo rispettivamente negli articoli 56, comma 5 e 56-bis, comma 1, Tuir, o ancora alle ipotesi di attività connessa di prodotto non rientrante nel D.M. previsto sempre dall’articolo 32 Tuir, per il quale il reddito viene determinato ai sensi del comma 2 dell’articolo 56-bis Tuir.
O anche, nel caso in cui i soggetti di cui sopra esercitino attività connesse di servizi per le quali il reddito viene determinato ai sensi del comma 3 dell’articolo 56-bis Tuir.
Quando si verificano le circostanze sopra richiamate, la normativa impone all’impresa agricola, in forma di società semplice o impresa individuale, di dichiarare un reddito d’impresa che, in prima battuta, viene quantificato con metodi forfettari, pur essendo possibile, previa opzione, quantificarne l’importo secondo gli ordinari criteri analitici.
In queste ipotesi, sempre la risoluzione n. 150/E-III-5-2019 del 5 giugno 1995, ripresa poi dalla circolare 32/E/2009, correttamente precisa che “Diverso è il caso in cui risultino superati i limiti della potenzialità del terreno fissati dall’articolo 29 [ora articolo 32 del TUIR] …: in tal caso, infatti, il reddito derivante dal superamento di detti limiti va classificato come reddito d’impresa(…) Questa circostanza (…) implica altresì l’obbligo di operare la ritenuta alla fonte (…) sui contributi a fondo perduto erogati (…)”.
Ma su quanta parte del contributo a fondo perduto deve essere applicata la ritenuta alla fonte?
Due sono le strade alternative:
- da un lato, si ritiene possibile determinare la parte di contributi soggetti a ritenuta determinando la percentuale di incidenza sul fatturato ai fini Iva complessivo della parte riconducibile a reddito di impresa,
- alternativamente, è possibile fare proprie le conclusioni raggiunte dall’Agenzia delle entrate in tema di Irap con la risoluzione 93/E/2017 ove, per l’allevamento di animali, stabilisce che il calcolo deve essere fatto in ragione dell’incidenza del numero dei capi che non trovano copertura nel reddito agrario sul totale allevato.
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