La “rivoluzione” verde parte dell’agricoltura
di Alberto RocchiLuigi ScappiniTra i criteri direttivi enunciati nella bozza di Legge delega sulla riforma fiscale, uno spazio particolare è dedicato all’agricoltura.
Tra i vari obiettivi che il legislatore si pone nell’ambito della tassazione dei redditi agrari trova spazio la riconducibilità dei redditi relativi ai beni, anche immateriali, derivanti dalle attività di conduzione e di allevamento che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, ai redditi ottenuti dalle attività agricole di cui all’articolo 2135 cod. civ..
Il legame tra energia e agricoltura risale ormai a più di un ventennio, quando nel 2005 il Legislatore, sulla scia delle pratiche che si andavano diffondendo nell’azienda agricola sempre più “multifunzionale”, provò a definire il complesso ambito delle “agroenergie”.
Ne uscì una norma che aveva un pregio ma anche un grave difetto.
Essa, infatti, interveniva indirettamente nell’articolo 2135 cod. civ. andando a collocare i redditi da agroenergie nell’ambito delle attività connesse in via esogena senza tuttavia definire in modo compiuto la prevalenza, soprattutto per quelle attività nelle quali il legame con il fondo risultava più sfumato.
Il risultato è un quadro d’insieme del settore, ancora oggi vigente, articolato in 4 categorie:
- produzione di energia elettrica e calorica da fonte fotovoltaica;
- produzione di energia elettrica e calorica da fonte agroforestale;
- produzione di carburanti vegetali; e
- produzione di prodotti chimici.
Queste attività, al termine di un iter normativo piuttosto travagliato che ha richiesto anche un intervento della Corte Costituzionale, oggi “scontano” una tassazione più o meno agevolata.
La produzione fotovoltaica e agroforestale per una parte rientra nel reddito agrario mentre l’eccedenza è tassata quale prestazione di beni e servizi in misura forfettaria pari al 25% del volume d’affari generato.
Al contrario, la produzione di carburanti vegetali, quali il biogas, e di prodotti chimici vegetali, al rispetto dell’utilizzo prevalente di prodotti derivanti dalla propria attività agricola principale, trova piena copertura nel reddito fondiario.
Nel reddito agrario trovano capienza anche i c.d. certificati bianchi, altrimenti noti come Titoli di Efficienza Energetica (TEE), consistenti in titoli negoziabili che certificano il conseguimento di risparmi energetici tramite interventi e progetti di incremento di efficienza (cfr. consulenza giuridica n. 954-21/2014 del 15 maggio 2015).
È questo dunque il contesto nel quale si andrà a incardinare la previsione contenuta nella delega fiscale che, al momento, sembra voler affiancare alle “agroenergie” le “attività verdi” derivanti dalla cessione di beni, anche immateriali, effettuate a latere della coltivazione del fondo e dell’allevamento di animali.
Rientreranno nel reddito agrario anche le cessioni dei c.d. VERs, il credito CO2 cedibili sul mercato in regime di libera contrattazione e oggetto di transazione prevalentemente nel mercato volontario? O sconteranno una forma di tassazione forfettaria?
Infatti, i VERs, estranei al sistema cap and trade che caratterizza, al contrario, il sistema ETS (Emission Trading System), sono classificabili come beni immateriali (cfr. Cassazione sentenza n. 25492/2019), come del resto gli altri titoli quali i certificati bianchi o quelli verdi.
Del corretto inquadramento fiscale della cessione dei VERs da parte di un soggetto svolgente attività agricola, in passato se ne è già occupata l’Agenzia delle entrate.
Nell’interpello n. 365/2020 essa aveva affrontato la questione sollevata da una società impegnata nella coltivazione al fine della successiva commercializzazione di germogli e arbusti che, tramite una sinergia con uno spin off universitario, aveva validato un algoritmo in grado di stimare la quantità di CO2 sequestrabili nella crescita delle piante.
L’istante correttamente riteneva di poter far rientrare la cessione dei VERs nell’ambito dell’articolo 56-bis Tuir e, in particolare, tra le attività dirette alla fornitura di servizi per le quali il comma 3 prevede una tassazione in misura pari al 25% dell’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione ai fini Iva.
Tuttavia, l’Agenzia delle entrate, in ragione del dato normativo, aveva dato una risposta negativa in quanto tale attività non viene espressamente qualificata come connessa a quella agricola da alcuna norma.
Ora il Legislatore, nell’intento di ricomprendere anche queste attività in un sistema di tassazione agevolato, sembra aver abbozzato una strada apparententemente giusta, avendo fatto riferimento, nella delega, sia all’articolo 2135 cod. civ., sia al sistema di tassazione: un binomio che deve essere sempre tenuto presente quando si parla di agricoltura.
Il rischio tuttavia è quello di ripetere gli errori del passato quando, in presenza di attività notevolmente “distanti” dalle potenzialità del fondo, il legame con l’attività agricola di base sotto forma di prevalenza non è stato ben definito, innescando una reazione a catena, in termini di incertezza, anche nell’ambito fiscale.