14 Giugno 2023

La scissione negativa tra codice civile e Tuir

di Paolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365
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La scheda di FISCOPRATICO

La scissione negativa è quella operazione con la quale la società scindenda trasferisce alla beneficiaria un patrimonio netto contabile negativo, nel senso che le passività superano le attività.

Questa operazione pone diverse problematiche:

  • in primo luogo, occorre interrogarsi sulla legittimità della operazione sul piano prettamente civilistico;
  • in secondo luogo, va indagata la corretta qualificazione fiscale delle riserve che vengono a generarsi per effetto del trasferimento del patrimonio netto, tema, quest’ultimo che fu affrontato, almeno in parte dalla risoluzione 12/E/2009.

 

Condizioni di legittimità della scissione negativa

Anzitutto merita di ricordare che un assunto tradizionalmente sostenuto in dottrina e giurisprudenza (Notariato Triveneto orientamento L.E.1 e Cassazione, sentenza n. 26043 del 20.11.2013) è che la scissione negativa è legittima a condizione che il patrimonio trasferito alla beneficiaria sia negativo solo dal punto di vista meramente contabile, mentre dal punto di vista sostanziale il valore effettivo e corrente dei beni veicolati alla beneficiaria sia superiore al valore effettivo delle passività altrettanto trasferite.

I plusvalori latenti potranno essere iscritti nell’attivo della beneficiaria oppure mantenuti latenti, e, in questo secondo caso, è necessario che la beneficiaria sia precostituita e presenti un patrimonio netto sufficiente ad assorbire il deficit generato dalla iscrizione di passività superiori alle attività.

È però vero che un orientamento notarile più recente rispetto alle posizioni di dottrina e giurisprudenza sopra segnalate (Consiglio Notarile di Roma, Velletri e Civitavecchia, massime 1 e 2 del luglio 2016) arriva ad ammettere la legittimità anche di una scissione negativa con patrimonio effettivo realmente negativo sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • il valore di concambio tra i soci sarebbe comunque possibile, nel senso che ai soci della beneficiaria (che di fatto subiscono una flessione patrimoniale per effetto dell’assorbimento del patrimonio netto negativo attribuito) potrebbero essere assegnate partecipazione nella scissa, così che verrebbe ristabilito un corretto rapporto di cambio con i soci originari della stessa scissa;
  • nel caso di scissione totale verso più beneficiarie già preesistenti (che quindi possono “assorbire” la perdita di fatto attribuita) il rapporto di cambio verrebbe assicurato assegnando ai soci delle società beneficiarie che hanno “assorbito” gli asset in perdita, partecipazioni nelle altre società beneficiarie che non hanno “assorbito” dette passività.

È interessante focalizzare queste argomentazioni rispetto al tema della scissione scorporo: ebbene, siamo portati a ritenere che la scissione negativa con patrimonio netto effettivamente negativo non sia possibile in quest’ultima forma di scissione, dove non vi è rapporto di cambio e nella quale la società beneficiaria deve essere di nuova costituzione, e, quindi, non può generarsi con un patrimonio inesistente.

Altra cosa è, sotto questo profilo, se il patrimonio effettivo è realmente positivo, poiché in tal caso, facendo emergere le plusvalenze latenti negli asset trasferiti, si rigenera il patrimonio positivo nella stessa beneficiaria.

 

La natura fiscale delle riserve che si formano nella scissione negativa

Tornando al tema della scissione negativa con patrimonio effettivo positivo, occorre notare che l’operazione genera in capo alla scissa un incremento patrimoniale, cioè si generano nuove riserve nella società scissa, per effetto del trasferimento di passività superiori alle attività.

Peraltro, anche in capo alla beneficiaria si costituisce un nuovo patrimonio netto.

La questione da risolvere è capire che qualifica fiscale presentano detti nuovi elementi di patrimonio netto, domanda essenziale in vista di un possibile futuro utilizzo a qualunque titolo di dette riserve.

La questione fu affrontata dalla risoluzione 12/E/2009, nella quale la scissa a seguito di una operazione negativa vedeva incrementato il netto, mentre la beneficiaria vedeva attribuiti elementi dell’attivo e del passivo che presentavano uguale valore effettivo.

L’incremento patrimoniale in capo alla scissa è stato ritenuto configurare una riserva non in sospensione di imposta, avente natura di utili.

La tesi è condivisibile poiché nella scissione negativa la scissa non ha ricevuto alcun apporto dai soci, per cui risulta impossibile affermare che il nuovo patrimonio netto assuma natura di capitale; inoltre tale riserva è libera, per cui un eventuale utilizzo per copertura perdite non comporta alcuna tassazione.

Del resto, affinché una riserva si qualifichi in sospensione d’imposta è necessario che la norma che la istituisce lo affermi chiaramente, circostanza che non si verifica nella scissione negativa.

La citata risoluzione 12/E/2009 non affronta però la problematica della natura fiscale del patrimonio netto che si forma in capo alla beneficiaria, posto che la circostanza che esso venga interamente denominato “Capitale Sociale”, non significa affatto che dal punto di vista fiscale abbia natura di capitale.

Nelle scissioni la qualificazione delle riserve non in sospensione d’imposta trasferite dalla scissa alla beneficiaria (articolo 173, comma 9, Tuir) segue la medesima regola prevista nelle fusioni (articolo 172, comma 6, Tuir) e cioè la ricostituzione della tipologia delle riserve (capitale e/o utili) in base alla proporzione con cui si presentava il netto patrimoniale nella società dante causa.

Ma il problema della scissione negativa è che non vi sono riserve della scindenda che vengono trasferite nella beneficiaria; anzi la scindenda vedrà incrementato il proprio patrimonio netto per effetto dell’accollo delle passività da parte della beneficiaria designata.

Una soluzione semplice potrebbe essere riconoscere la natura di apporto nel patrimonio che si forma in capo alla beneficiaria, assegnando quindi natura tributaria di capitale al patrimonio netto.

A sostegno di tale tesi si può, tra l’altro, segnalare che non vi è un trasferimento di patrimonio netto dalla scissa alla beneficiaria per cui non si pone il problema di trasferire riserve già presenti nella scissa.

Tuttavia, se proviamo ad ipotizzare l’operazione in altri termini emerge anche un’altra convincente ipotesi: la scissa prima di eseguire la scissione rivaluta i beni, quindi, elimina il deficit contabile e a questo punto esegue una scissione positiva per la quale potrebbe essere sensato trasferire le riserve in base al solito criterio proporzionale.

Dato che la questione è eminentemente fiscale sarebbe opportuno che l’Agenzia delle Entrate si pronunciasse sul tema.