La sede principale dell’attività supera la presunzione di residenza
di Luigi FerrajoliLa Suprema Corte con la sentenza n. 6501 del 31.03.2015 è tornata a pronunciarsi in merito ai criteri utili per la determinazione della residenza fiscale nel territorio dello Stato delle persone fisiche trasferitesi in Paesi aventi un regime fiscale privilegiato.
L’art. 2, co.1 del TUIR individua i soggetti passivi di imposta nelle “persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato”. Circa il concetto di residenza, il successivo comma 2 dispone che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
Tuttavia, la mancata iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente ed in particolare la cancellazione dalle stesse con iscrizione nell’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) non è sufficiente, assieme alla condizione del domicilio o della residenza estera, a determinare l’assenza di residenza in Italia ai fini delle imposte sui redditi, poiché lo stesso art.2 al co.2-bis introduce una presunzione legale relativa del seguente tenore: “Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”.
Il caso affrontato dalla Suprema Corte ha ad oggetto la posizione di un cittadino elvetico, già cittadino italiano iscritto all’AIRE dal 1978, destinatario di un avviso di accertamento ai fini IRPEF per omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo nell’anno 1999.
In primo grado il contribuente aveva ottenuto una pronuncia favorevole, perché ad avviso della CTP adita lo stesso non poteva più essere considerato cittadino italiano.
In esito all’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate la CTR aveva confermato la pronuncia del primo giudice ritenendo fornita la prova idonea a vincere la presunzone di cui all’art.2, co.2-bis del TUIR sulla base dei seguenti elementi: cittadinanza elvetica; possesso di un passaporto svizzero; residenza in Svizzera; attività di lavoro dipendente svolta nello Stato elvetico con contratto a tempo indeterminato con orario di otto ore giornaliere.
Il contribuente continuava ad avere in Italia un solo immobile locato ad uso archivio, circostanza evidentemente non considerata rilevante.
Le circostanze addotte dal ricorrente hanno persuaso i giudici a ritenere che effettivamente il centro vitale degli interessi del soggetto fosse individuabile nel luogo in cui questi aveva la sede principale dell’attività lavorativa.
Non concordando con tale ultimo aspetto, l’Amministrazione finanziaria è ricorsa per la cassazione della pronuncia di appello, lamentando la violazione dell’art.2, co.2-bis del TUIR poiché, a suo avviso, la CTR non aveva idoneamente valutato la rilevanza dei legami affettivi e personali per il riconoscimento della residenza in Italia ai fini fiscali.
Entrambi gli elementi indicati – attività lavorativa e legami affettivi e personali – sono criteri che la giurisprudenza ritiene risolutivi ai fini dell’individuazione del domicilio nello Stato, inteso appunto come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali (Cassazione n. 14434/2010).
Nel caso di specie la Corte ha dato preminenza al luogo di svolgimento della principale attività del soggetto all’estero, sicchè il centro degli interessi vitali dello stesso è stato individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi.
Ad avviso dei Supremi Giudici, le relazioni affettive e familiari, al contrario, “non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri – idoneamente presi in considerazione nel caso in esame – che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.
Nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha inoltre riaffermato che “la norma di cui all’art. 2, comma 2bis, del TUIR, che prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata, pone in capo a questi ultimi l’onere di provare di risiedere o domiciliare effettivamente in quei Paesi o territori” ritenendo quindi che, nel caso in esame, il contribuente avesse fornito la relativa prova.