La semplice consegna del documento non integra il “caso d’uso”
di Fabio LanduzziNella pratica professionale accade non così di rado di imbattersi in avvisi di liquidazione emessi dall’Amministrazione Finanziaria a fronte della registrazione ex articolo 6 D.P.R. 131/1986, contenenti la richiesta di pagamento della relativa imposta di registro proporzionale, di atti formati dalle parti a mezzo scambio di corrispondenza e oggetto di consegna in occasione di verifiche fiscali o di risposte a questionari.
Può essere il caso di atti transattivi o di contratti di finanziamento, e perciò di atti a contenuto patrimoniale per i quali l’Amministrazione arriva ad assimilare la loro semplice esibizione in originale, ed allegazione in copia, nel corso di un’attività di verifica, al fenomeno del loro “deposito” che innescherebbe, appunto, la condizione prevista dal citato articolo 6 D.P.R. 131/1986, ovvero il realizzarsi del c.d. “caso d’uso”.
Questo approccio, come peraltro evidenziato da dottrina e giurisprudenza (v. CTP Reggio Emilia, sent. n. 54-2014; CTP Brescia, sent. n. 511-2015), presenta diverse perplessità.
Va dapprima ricordato che, ai sensi dell’articolo 6 D.P.R. 131/1986, il “caso d’uso” si ha quando un atto viene depositato:
- per essere acquisito agli atti presso le cancellerie giudiziarie nell’esplicazione di attività amministrative; oppure,
- per essere acquisito agli atti presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali ed i rispettivi organi di controllo.
Occorre perciò sottolineare, in primo luogo, che il “caso d’uso” presuppone il “deposito” dell’atto, e non la sua mera “esibizione”; la dottrina ha evidenziato che si integra il “caso d’uso” quando si ha volontarietà nel comportamento del soggetto che provvede al deposito dell’atto.
Inoltre, non può tacersi che si ha “deposito” di un atto quando il documento viene acquisito in originale dall’Ufficio presso cui esso è presentato, diversamente dal caso della “esibizione” dell’atto nell’ambito di un qualsivoglia procedimento amministrativo o giudiziario, in cui l’atto viene sottoposto in originale al richiedente (ad esempio, un rappresentante dell’Amministrazione in occasione di una verifica fiscale) per poi rientrare nella disponibilità del soggetto ed essere allegato in copia agli atti della verifica.
Anche la giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 10865/2005 e n. 24107/2014), talora invocata dall’Amministrazione per sostenere la tesi della registrazione dell’atto formato con scambio di corrispondenza ed esibito a seguito di richiesta, in verità consente di evidenziare che il verificarsi del “caso d’uso” si ha quando ricorrono due elementi:
- un elemento oggettivo: il “deposito” dell’atto per iniziativa autonoma e volontaria del soggetto privato, disgiunta da qualsivoglia richiesta dell’ente o della P.A.; e
- un elemento teleologico, ossia il fatto che il “deposito” dell’atto sia finalizzato a che l’atto stesso venga “acquisito agli atti, presso le amministrazioni dello Stato” (ad esempio, si ha il caso del deposito volto a rendere opponibile all’Ente terzo debitore la cessione del credito realizzata con l’atto stesso).
Vi è poi un aspetto rilevante da porre in evidenza. La produzione degli atti in questione avviene, di frequente, in conseguenza di un preciso obbligo normativo connesso all’esperimento delle attività di verifica fiscale da parte dell’Amministrazione.
Ai sensi degli articolo 32 e 33 D.P.R. 600/1973, l’Amministrazione ha infatti il potere di richiedere di “esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti” e, ai sensi del successivo comma 4 dell’articolo 32, gli atti ed i documenti non esibiti o non trasmessi in risposta alle richieste dell’Ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
Oltre al fatto che ciò rende evidente l’assenza del suddetto elemento soggettivo (la volontarietà della produzione dell’atto), occorre sottolineare che lo stesso articolo 6 D.P.R. 131/1986 esclude il “caso d’uso” quando l’atto viene depositato in giudizio per lo svolgimento di attività giurisdizionali in senso stretto.
La ragione di questa esclusione è quella di evitare che il diritto di difesa del soggetto privato possa trovare ostacolo nell’imposizione fiscale che deriverebbe dall’applicazione dell’imposta di registro.
È quindi evidente che, se l’intento del Legislatore è quello di rimuovere ostacoli fiscali al soggetto privato nella tutela del proprio diritto di difesa, tanto che non si ha “caso d’uso” quando l’atto viene depositato in giudizio per finalità difensive, come potrebbe allora essere compatibile la tesi per cui per il solo fatto di aver esercitato un diritto / dovere di produrre un documento nel corso di una verifica fiscale, e perciò in una fase di contraddittorio, può determinare il presupposto dell’assoggettamento ad un onere fiscale talora anche considerevole?
Una simile conclusione pare anche contrastare con i principi di cui all’articolo 24 Cost., in quanto costituirebbe ostacolo ingiustificato all’esercizio delle facoltà difensive nella fase pre-contenziosa e contenziosa.