26 Maggio 2018

La settimana finanziaria

di Mediobanca S.p.A.
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IL PUNTO DELLA SETTIMANA: i meccanismi di trasmissione dell’aumento del prezzo del petrolio sono cambiati?

  • L’impatto dell’aumento del prezzo del petrolio sull’economia mondiale potrebbe essere diverso da quelli storicamente registrati
  • Il livello storicamente basso dell’inflazione fa sì che l’aumento del prezzo del petrolio non si configuri come un trigger per una politica monetaria più restrittiva
  • La produzione di shale-oil statunitense accelera quando aumenta il prezzo del petrolio e si traduce in un aumento della componente investimenti negli Stati Uniti
Negli ultimi mesi si è assistito ad un marcato rialzo del prezzo del petrolio, principalmente imputabile all’intensificarsi delle tensioni geopolitiche generate dai rapporti tra Stati Uniti e Iran e tra Stati Uniti e Venezuela e alle aspettative di mercato di un’estensione dei tagli alle forniture da parte dei paesi OPEC, nonostante il calo di produzione OPEC sia stato parzialmente compensato da un marcato aumento della produzione di shale-oil negli Stati Uniti. L’incremento delle posizioni speculative nette si è successivamente aggiunto come ulteriore elemento di supporto al prezzo della commodity.Oggi l’impatto dell’aumento del prezzo del petrolio sull’economia mondiale è, a nostro avviso, diverso da quello osservato in passato. Storicamente, l’aumento del prezzo del petrolio ha costituito un freno alla crescita globale attraverso due canali di trasmissione: da un lato, l’aumento dei prezzi del petrolio ha comportato un trasferimento dei redditi dai paesi consumatori di petrolio (economie avanzate ad alta spesa) ai produttori netti, come i paesi del Golfo, che tendono ad avere alti tassi di risparmio; b) dall’altro un aumento del prezzo del greggio, configurandosi come una spinta inflativa potenziale, si è tradotto in un incentivo per le banche centrali ad una politica monetaria più restrittiva. Attualmente alcuni fattori stanno parzialmente modificando i meccanismi di trasmissione. In primo luogo, le banche centrali non dovrebbero tradurre l’aumento del prezzo del petrolio in una politica monetaria restrittiva, considerato il livello di inflazione globale storicamente basso. In economie come l’Area Euro e il Giappone, il livello di inflazione ancora lontano dal target di politica monetaria fa sì che l’aumento della componente energetica non sia una preoccupazione per la banca centrale. Negli Stati Uniti, invece, dove la Fed sta monitorando attentamente l’inflazione, l’aumento del prezzo del petrolio non dovrebbe tradursi in un immediato aumento dell’inflazione headline, perché parzialmente compensato dal rafforzamento del dollaro, che esercita pressioni al ribasso sull’inflazione importata. Viceversa l’effetto sulle aspettative di inflazione e sui rendimenti governativi statunitensi è stato repentino e marcato e ben visto dalla Fed, in quanto ha aiutato a rallentare il flattening della struttura a termine. In secondo luogo, all’aumentare del prezzo del petrolio i produttori di shale-oil statunitensi aumentano gli investimenti molto più rapidamente dei produttori convenzionali, contribuendo così a far aumentare la componente investimenti della domanda usa e sostenendo, così, la crescita mondiale. Infine, l’elasticità della domanda privata alla variazione del prezzo del petrolio è diminuita in quasi tutte le economie avanzate ed in particolare il consumatore statunitense vedrà compensato parte del calo del suo potere d’acquisto derivante dall’aumento del prezzo della benzina dall’effetto positivo derivante dagli sgravi fiscali implementati da Trump. Per questo, riteniamo che l’effetto negativo complessivo sulla domanda privata sarà inferiore a quello a cui si è assistito storicamente.    

LA SETTIMANA TRASCORSA

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