19 Maggio 2014

La sospensione d’imposta per i beni oggetto di lavorazione intracomunitaria

di Marco Peirolo
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Riguardo alle lavorazioni di beni in ambito intracomunitario sono numerosi gli aspetti che imprese e terzisti devono considerare ai fini del corretto inquadramento dell’operazione ai fini dell’IVA.

Come regola generale, la normativa italiana prevede un regime sospensivo per i beni movimentati da un Paese membro dell’Unione europea ad un altro a scopo di lavorazione. Si tratta, infatti, di trasferimenti che non integrano una cessione intracomunitaria nel Paese di partenza e che, di conseguenza, non danno luogo alla corrispondente acquisizione intracomunitaria nel Paese di destinazione.

Come si desume dalla recente sentenza della Corte di giustizia relativa alle cause riunite C-606/12 e C-607/12, il disallineamento che, sul punto, caratterizza la disciplina nazionale rispetto a quella comunitaria può tuttavia comportare problemi per le imprese italiane se i beni, a lavori ultimati, non rientrano nello Stato di origine, così come previsto dalle disposizioni, più restrittive, della Direttiva n.2006/112/CE.

In Italia, infatti, la L. n. 28/1997 ha recepito in modo incompleto la Direttiva n. 95/7/CE, la quale aveva modificato l’art. 28-bis, par. 5, lett. b), della VI Direttiva CEE richiedendo che “i beni, una volta terminati i lavori, siano rispediti al soggetto passivo nello Stato membro dal quale essi erano stati inizialmente spediti o trasportati”. La norma nazionale, anche a seguito dell’introduzione della Direttiva n. 2006/112/CE, è rimasta invece ancorata al vecchio testo del citato art. 28-bis, che si limitava a richiamare “la prestazione di un servizio, avente per oggetto lavori riguardanti tale bene, fornito dal soggetto passivo ed eseguito nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto del bene”.

L’attenzione, per le imprese che delocalizzano i processi di lavorazione in altri Paesi membri, deve essere pertanto rivolta a verificare i presupposti del regime sospensivo previsti dalla legislazione locale, in particolare quando il prodotto finito è ottenuto assemblando altri beni acquistati da fornitori locali.

Ipotizzando che i beni, al termine della lavorazione, siano oggetto di cessione intracomunitaria, gli scenari possibili variano a seconda che la normativa locale sia o meno conforme a quella comunitaria.

Assumendo che l’operatore italiano adegui il proprio comportamento al contenuto della citata sentenza, il trasferimento dall’Italia dà luogo, allo stesso tempo:

  • ad una cessione intracomunitaria “assimilata”, non imponibile IVA ai sensi dell’art. 41, comma 2, lett. c), del D.L. n. 331/1993 (cd. trasferimento a “se stessi”), che rileva ai fini della formazione del plafond e dell’acquisizione dello status di esportatore abituale;
  • al corrispondente acquisto intracomunitario, da assoggettare ad imposta nel Paese di destinazione per mezzo della posizione IVA previamente accesa.

Le complicazioni emergerebbero se le Autorità fiscali del Paese membro di arrivo considerassero il suddetto trasferimento in sospensione d’imposta, in conflitto pertanto con la Direttiva.

In questo caso, infatti, è verosimile ritenere che alla posizione IVA dell’impresa italiana verrebbe contestata la mancata applicazione dell’imposta sull’acquisto dei beni dai fornitori locali in ragione del fatto che, a valle, le cessioni non assumono natura intracomunitaria in difetto del presupposto territoriale; è noto, infatti, che tali operazioni non si considerano rilevanti nel Paese di lavorazione se i beni ceduti sono in sospensione d’imposta.

In pratica, riqualificando (ex post) la natura delle cessioni operate dalla posizione IVA locale, verrebbe meno il plafond speso (ex ante) per acquistare i beni senza applicazione dell’imposta.

Sotto un profilo più generale, occorre inoltre verificare se i prodotti oggetto di assemblaggio rientrino nella disciplina in esame, riguardante il trasferimento in sospensione a scopo di lavorazione.

La normativa nazionale, richiamando le operazioni di perfezionamento, consente di esprimersi in termini positivi, tali essendo – in base all’art. 5, punto 37, del Reg. UE n. 952/2013 (Codice doganale dell’Unione) – la lavorazione di merci, compreso il loro montaggio, il loro assemblaggio, il loro adattamento ad altre merci.

La Direttiva n. 2006/112/CE, invece, nel disciplinare i trasferimenti intracomunitari di beni a scopo di lavorazione, si limita a fare riferimento ai “lavori riguardanti il bene”, ma non dovrebbero esserci dubbi che le operazioni di perfezionamento, al pari delle manipolazioni usuali (di cui all’art. 220 del Reg. UE n. 952/2013), rientrino nella nozione in parola.