La spiumatura della tiffa
di Michele D’AgnoloDa qualche tempo anche le professioni giuridico economiche hanno scoperto il diritto di sciopero. Hanno iniziato gli avvocati, che già da qualche tempo hanno conquistato ed agito proteste a mezzo dell’astensione dalle udienze ma da qualche tempo è possibile anche per commercialisti e consulenti del lavoro incrociare le braccia per protesta o rivendicazione sindacale. A cura degli organismi di rappresentanza, sono stati recentemente depositati presso le autorità competenti i codici di autoregolamentazione con i quali ci si impegna a coordinare il diritto di sciopero con il diritto della clientela alle prestazioni essenziali.
Anche dal punto di vista prettamente sindacale, mi sembra una vittoria di Pirro. Verrebbe da dire troppo poco e troppo tardi. Oggi il potere contrattuale nei confronti dei clienti e dello Stato delle professioni giuridico economiche si è fortemente ridotto, per cui uno sciopero di categoria oggi probabilmente danneggia molto di più i professionisti rispetto agli altri stakeholders e potrebbe soprattutto comportare reazioni politiche durissime, con la caduta delle poche tutele rimaste e la immediata riassegnazione delle residue prerogative ai molti poteri che oggi le insidiano.
In realtà, se volessimo prendere spunto dalla normativa lavoristica, dovremmo puntare come professionisti a ben altre forme di riconoscimento da parte del legislatore. Queste ultime, con molta maggiore valenza di carattere organizzativo.
Intanto credo che moltissimi professionisti nella propria personale attività violino costantemente le normative relative agli orari di lavoro e ai riposi obbligatori, attualmente stabiliti dalla normativa UE soltanto per i dipendenti, ma nati da valutazioni cliniche, cioè legate al nostro stato di salute e quindi universalmente valide. E che invidia per i nostri colleghi europei che non fanno mai le nottate su bilanci e dichiarativi perché hanno norme e software pronte per tempo, clienti puntuali, uffici statali realmente collaborativi e moduli non ripetitivi e non lunari.
E che dire delle ferie. Moltissimi professionisti italiani non riescono ad andarci, vuoi perché non c’è il budget, vuoi perché non c’è materialmente il tempo. E al ritorno devi comunque recuperare questo e quello, e di conseguenza perdono il valore di ricreazione e non servono a nulla.
Problema ancora più rilevante quello della stagionalità dell’attività. È indubbio che il consulente del lavoro si adopera molto di più durante le vacanze natalizie per chiudere i conguagli e nella prima fase dell’anno per l’autoliquidazione INAIL e gli altri rendiconti annuali. E dei notai che nel mese di dicembre sviluppano un lavoro quasi doppio rispetto agli altri mesi dell’anno.
E che dire dei commercialisti che ogni anno affrontano la stagione di fermo biologico, da marzo a ottobre, per poter confezionare bilanci e dichiarativi. Con prassi e software che arrivano sempre in zona Cesarini.
Vien da pensare che il primo commercialista del mondo abbia commesso un peccato di gravità inaudite. Da quel momento il Creatore ha tolto a lui e a tutti i discendenti la fruizione della primavera, condannandolo a passarla chiuso in una stanza a macinare numeri e a rovinarsi il fegato. Deve averla combinata veramente grossa il nostro capostipite per non consentirci più di scegliere nemmeno di lavorare più duramente durante il freddo e noioso inverno.
Eppure sfogliando gli elenchi delle attività economiche che il legislatore considera stagionali, e che di conseguenza hanno diritto di assumere a tempo determinato, non si scorge neppure una attività professionale. Nemmeno quella di un CED o di un abusivo.
Nel decreto del 1963 si parla della sgusciatura delle mandorle, della raccolta delle olive, della sgranellatura del cotone, financo della spiumatura della tiffa. Per la cronaca, si tratta di quelle simpatiche infiorescenze palustri simili a un hot dog infilato su uno stecco che le nostre nonne mettevano nei vasi di fiori a mo’ di decorazione.
Ma della primavera di piombo del consulente del lavoro, dell’estate fantozziana del commercialista o del natale da quaresima del notaio non v’è alcuna traccia. Ci conviene cambiare codice ATECO!
La stagionalità molto forte della attività dei consulenti del lavoro e dei commercialisti andrebbe affrontata rivedendo la intera filiera degli adempimenti che dal Parlamento arriva all’Agenzia delle Entrate, a Sogei, alle software house e fino ai singoli studi, eliminando realmente i doppioni nei dati e non per finta come in Fedra, istituendo per esempio un sistema di pianificazione e rateazione nella consegna dei dichiarativi durante l’anno, come avviene in molti luoghi del mondo.
Continuando la nostra disamina, un altro elenco interessante e che richiederebbe la presenza delle nostre attività professionali è quello delle attività usuranti. Ormai non solo le professioni giuridico economiche ma quasi tutte le attività professionali sono iper-regolamentate. Riuscire a star dietro ad una legislazione di per sé ingiusta in quanto continuamente cangiante in corso d’opera e ulteriormente impossibile in quanto non conoscibile per la soverchiante quantità di materiale prodotto sarebbe di per sé uno stress sufficiente. A questo dobbiamo aggiungere la complessità, i ritardi e i malfunzionamenti delle procedure software. L’aggressività e la cavillosità dei verificatori, che di intelligence hanno talvolta soltanto il nome. E i clienti che non collaborano, non pagano e che vogliono la luna nel pozzo. E che al primo problema ti ribaltano addosso la responsabilità. I dipendenti di studio da gestire, i conti da pagare. Vogliamo la pensione anticipata, proprio come i camionisti e i palombari. Più traffico e più apnea di così…
Ma vi dirò di più. La cosa più comica è che il legislatore, lo stesso che è fonte di gran parte dei nostri guai, ci obbliga a valutare costantemente i rischi lavorativi all’interno delle nostre strutture. A vantaggio ovviamente dei nostri dipendenti e non di noi stessi e dei nostri colleghi collaboratori, che possiamo anche schiattare sula scrivania, tanto non gliene importa nulla a nessuno. E tra i vari rischi sicuramente quello più rilevante non è il vaso di varechina rimasto per sbaglio nella toilette o la puntura della cucitrice sul dito, ma sicuramente è quello derivante dallo stress lavoro-correlato.
Un soggetto che ti dà istruzioni continuamente contrastanti accompagnandole da minacce di sanzioni abominevoli, spesso all’ultimo momento in modo da non darti il tempo di reagire non è forse qualcuno che vuole farti diventare schizofrenico? È esattamente quello che fa sistematicamente lo Stato da decenni con i professionisti italiani, nella nostra più assoluta acquiescenza.
Se dovessimo applicare alla lettera la valutazione dello stress lavoro correlato alle nostre personali attività dovremmo chiuderle. Facciamo già fatica a diradare la nebbia per non mettere alle corde i nostri dipendenti.
Meno leggi, meno decreti, assoluta uniformità amministrativa e giurisprudenziale nello spazio e nel tempo. Sarebbero queste le riforme di cui non parla nessuno che ci consentirebbero una diversa organizzazione del lavoro, un calo dei rischi e un calo delle tariffe, a vantaggio della clientela. Ecco perché negli altri paesi i professionisti costano il 30% in meno. Perché non fanno code agli sportelli e non si incastrano gli invii telematici. Ed ecco perché non basta che il prof. Monti tolga le tariffe per fare più concorrenza. Ne abbiamo di strada prima di reclamare la tredicesima e il TFR.