La successione nel debito d’imposta del de cuius e le obbligazioni ai fini Iva
di Caterina BrunoLa successione nel debito d’imposta con riferimento alle persone fisiche si determina a seguito dell’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati.
Infatti, con il decesso di una persona fisica si apre la successione ai sensi dell’articolo 456 cod. civ. in favore dei chiamati all’eredità i quali, in caso di accettazione, subentrano in tutti i rapporti, attivi e passivi, che sopravvivono al de cuius.
Tale principio si applica anche con riferimento ai debiti tributari nei quali l’erede subentra insorgendo in capo ad esso l’onere di versare le imposte dovute dal de cuius il cui presupposto impositivo si sia generato antecedentemente al decesso.
La regola in ambito tributario vige sia con riferimento alle imposte sui redditi che per quanto concerne l’Iva.
In particolare, l’articolo 65 D.P.R. 600/1973 prevede che: “gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie il cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa”.
Tuttavia l’insorgenza dell’obbligo impositivo è preordinato all’accettazione dell’eredità a seguito delle quale i chiamati acquistano la qualifica di eredi del de cuius. Motivo per cui l’articolo 187 Tuir a sua volta dispone, con riferimento all’ipotesi di eredità giacente, che: “dopo l’accettazione dell’eredità il reddito (…) concorre a formare il reddito complessivo dell’erede per ciascun periodo d’imposta, compreso quello in cui si è aperta la successione e si procede alla liquidazione definitiva delle relative imposte”.
In ambito Iva analoghe disposizioni sono previste per gli eredi del contribuente dall’articolo 35-bis D.P.R. 633/1972 che sancisce che gli obblighi derivanti dalle operazioni effettuate dal contribuente deceduto debbano essere adempiuti dagli eredi concedendo loro un ampliamento dei termini per adempiere di sei mesi dalla data del decesso anche in ipotesi di adempimenti scaduti e non effettuati dal de cuius nei quattro mesi antecedenti il decesso.
Orbene, gli eredi onorano gli obblighi impositivi utilizzando la partita Iva del soggetto deceduto atteso che: l’attività del professionista non si può considerare cessata fino all’esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all’interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell’attività professionale (cfr.: circolare 11/E/2007).
Tale presupposto in ipotesi di subentro degli eredi negli obblighi impositivi del de cuius pone il problema del disallineamento tra il momento di esigibilità del tributo (i.e.: emissione della fattura) rispetto all’evento successorio (i.e.: decesso e successiva accettazione dell’eredità).
È infatti possibile che al momento del decesso non tutte le fatture emesse siano state ancora incassate o che vi siano ancora fatture da emettere.
Sul punto la risoluzione 34/E/2019 ha precisato che: “in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita Iva del professionista defunto sino a quando non viene incassata l’ultima parcella“.
Le suesposte considerazioni trovano conferma nella sentenza delle Sezioni Unite n. 8059/2016 con la quale la Corte di Cassazione ha affermato che: “il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini Iva, anche se percepito successivamente alla cessazione dell’attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione” e questo perché “[…] il fatto generatore del tributo Iva e, dunque, l’insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati […] con la materiale esecuzione della prestazione, giacché, con il conseguimento del compenso, coincide, non l’evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l’adempimento dell’obbligo di fatturazione“.
Di recente l’Agenzia delle Entrate con la risposta n. 785/2021 del 19.11.2021 ha avuto occasione di ribadire che il fatto generatore del tributo Iva e, dunque, l’insorgenza della relativa imponibilità va identificato con la materiale esecuzione della prestazione, con la conseguenza che qualora il de cuius non abbia fatturato la prestazione, l’obbligo si trasferisce agli eredi, in forza del disposto dell’articolo 35-bis D.P.R. 633/1972, i quali dovranno fatturare la prestazione eseguita dal de cuius non già in nome proprio, ma in nome del de cuius.
In risposta all’interpello presentato dall’erede di un professionista che aveva proceduto alla comunicazione di cessazione dell’attività ed alla cancellazione della partita Iva del de cuius, successivamente accorgendosi dell’esistenza di posizioni creditorie residue, l’Agenzia ha chiarito che l’erede del professionista deceduto dovrà in tale caso chiedere la riapertura della partita Iva del de cuius e fatturare le prestazioni dallo stesso effettuate sia nei confronti dei titolari di partita Iva che nei confronti dei clienti non soggetti passivi ai fini Iva.
19 Dicembre 2021 a 12:08
Complimenti per l’articolo, molto chiaro.
Sarebbe interessante sapere se le stesse regole ai fini IVA siano valide anche per l’imprenditore individuale.