18 Ottobre 2018

La successione testamentaria e la successione legittima

di Sergio Pellegrino
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Nel contributo pubblicato martedì, abbiamo evidenziato come un soggetto – che naturalmente deve essere maggiorenne, non interdetto e capace di intendere e di volere – possa stabilire la ripartizione del patrimonio dopo la propria morte attraverso la redazione di un testamento: si parla in questo caso di successione testamentaria.

Il testamento è un atto unilaterale, che deve per forza di cose risultare da un atto scritto, ed è revocabile da parte del testatore qualora cambino, in tutto o in parte, le sue volontà (sarà opportuno che la revoca venga fatta in modo esplicito, per evitare “confusione” qualora dovessero essere rinvenuti più testamenti).

Al di là delle forme “speciali” di testamento, poco utilizzate nella pratica, vi sono tre diverse tipologie di testamento:

  • il testamento pubblico;
  • il testamento olografo;
  • il testamento segreto;

Il testamento pubblico viene redatto da un pubblico ufficiale, e cioè il notaio, che nel momento in cui avrà notizia della morte del testatore comunicherà agli eredi e ai legatari l’esistenza del testamento, provvedendo poi alla sua successiva pubblicazione per darvi piena esecuzione.

Il testamento olografo, invece, è scritto dal testatore di proprio pugno, datato e sottoscritto dallo stesso testatore.

Non sono previste modalità obbligatorie di conservazione, ma può essere opportuno procedere con il deposito del testamento presso un soggetto di fiducia del testatore, per evitare il rischio che questo possa non essere rinvenuto o, ancor peggio, distrutto o alterato.

Al momento del decesso del testatore, il soggetto che ha in custodia il suo testamento olografo deve presentarlo in originale a un notaio per la pubblicazione.

Da ultimo, il testamento segreto, anch’esso poco ricorrente nella prassi, che è in parte atto del testatore e in parte del notaio.

Il testamento è fondamentalmente un atto di natura patrimoniale, anche se il testatore potrebbe decidere di inserirvi disposizioni rilevanti sotto il profilo giuridico o “morale”.

Attraverso il testamento si viene a realizzare l’istituzione dell’erede o degli eredi, che subentreranno in tutte le posizioni patrimoniali attive e passive facenti capo al de cuius (pro-quota se i beneficiari sono più d’uno).

Nel momento in cui il testatore attribuisce a un soggetto un bene o un diritto determinato, siamo di fronte a un legato: il legatario non risponde dei debiti ereditari con il proprio patrimonio, cosicché gli eventuali creditori del de cuius potranno rivalersi nei suoi confronti esclusivamente nei limiti del valore del bene oggetto del legato.

Mentre l’eredità, implicando una responsabilità patrimoniale “globale” da parte dell’erede, deve essere necessariamente oggetto di accettazione, il legato, garantendo, come si è detto, una responsabilità limitata, non necessita invece di alcuna accettazione e produce i propri effetti “automaticamente” con il decesso del testatore, fatta salva naturalmente la facoltà da parte del legatario di rinunciarvi.

Quando il testatore ricorre al legato per riconoscere al legittimario la quota di patrimonio che gli spetterebbe in virtù della riserva di legittima, si parla appunto di legato in sostituzione di legittima.

Evidentemente il legittimario non è tenuto ad accettare il legato, ma ha tutto il diritto di rinunciarvi e di acquisire così la qualità di erede e il conseguente diritto alla legittima (che quindi, presumibilmente, avrà un valore superiore rispetto a ciò che gli è stato “riservato”).

Laddove, invece, decida di “accettare” il legato, qualora questo abbia valore inferiore rispetto alla quota di legittima, non potrà in ogni caso richiedere alcun supplemento, non acquisendo la qualità di erede.

Nel caso in cui il de cuius muoia senza un valido testamento, oppure qualora abbia disposto soltanto di parte del patrimonio, si viene ad aprire invece la successione legittima, con l’attribuzione del patrimonio ai parenti, partendo da quelli più prossimi, come gli eventuali figli e coniuge, fino ad arrivare al sesto grado di parentela; in mancanza viene devoluto allo Stato.

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