4 Ottobre 2013

La superficie “non calpestabile” può rendere di lusso l’immobile

di Leonardo Pietrobon
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21287 del 18/9/2013, è tornata ad affrontare la questione relativa al computo della c.d. “superficie utile”, per la qualifica di un immobile “non di lusso” e la conseguente applicazione dell’agevolazione prima casa.

Il riferimento al concetto di abitazione “non di lusso” deriva dall’applicazione dell’art. 6 D.M. 6/8/1969, richiamato dall’art.1, nota II-bis, della Tariffa, Parte Prima del D.P.R. 131/1986 per l’applicazione della citata agevolazione nei trasferimenti immobiliari. In base ai citati dettati normativi, possono accedere al regime agevolativo gli immobili qualificabili come “non di lusso”, che rispetto al parametro della superficie utile non presentano un’estensione superiore a 240 mq. Da tale conteggio, la citata norma esclude: i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e il posto macchine.

Di conseguenza, la corretta determinazione del parametro qualificabile come “superficie utile” rappresenta uno degli aspetti fondamentali, al fine di stabilire la spettanza o meno dell’agevolazione prima casa e sul quale spesso si instaurano contestazioni da parte dell’Amministrazione Finanziaria, in quanto il computo del richiamato parametro presta il fianco a possibili interpretazioni.

Con la richiamata pronuncia, la Corte di Cassazione afferma che “la norma – con riferimento all’art. 6 D.M. 2/8/1969 – va interpretata nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale, della superficie dell’immobile indicata nell’atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo i predetti ambienti e non l’intera superficie non calpestabile”. Gli ambienti a cui fa riferimento la Corte di Cassazione, da escludere dal conteggio della superficie utile sono:

– i balconi;

– le terrazze;

– le cantine;

– le soffitte;

– le scale;

– e il posto macchine.

Ciò che esula, quindi, da tali ambienti – sempre a parere della Cassazione – seppur privo della qualifica, peraltro meramente commerciale, di “calpestabilità” non può essere escluso dal conteggio della superficie dell’immobile.

In tal senso è da segnalare che la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17439 del 17/7/2013, si era già espressa, affermando che il vano qualificabile come “ripostiglio”, seppur privo dei requisiti di abitabilità, non può essere assimilato alla soffitta e quindi escluso dal computo della superficie, in quanto non espressamente previsto nell’art. 6 del D.M. 6/8/1969. Ancora più significativa risulta essere la sentenza della Cassazione n.10807 del 28/6/2012, la quale ha stabilito che la valutazione dell’abitabilità rileva, ai fini della definizione del rapporto tributario, solo nel caso in cui la norma tributaria inserisca, tra i requisiti per l’applicazione di un’imposta, “l’uso effettivo del fabbricato”. Poiché le norme sopra citate non fanno alcun riferimento all’abitabilità, essa risulta irrilevante una volta accertato che – come nel caso oggetto di analisi da parte della Cassazione – il piano interrato, pur avendo un soffitto di altezza di poco inferiore a quella richiesta dal regolamento edilizio per l’abitabilità, era destinato a “sale hobby” (secondo quanto poteva desumersi dal progetto e dalle planimetrie catastali), ovvero ne era prevista la destinazione ad attività “proprie degli esseri umani che ivi trovano alloggio”.

La stessa conclusione emerge dalla sentenza della Suprema Corte n. 12942 del 24 maggio 2013, la quale ha stabilito che rientra nel conteggio della superficie utile anche il seminterrato, anche se sotto il profilo della normativa urbanistica risultava privo di abitabilità, atteso che tale ultimo requisito – con riferimento all’abitabilità – non è indicato dalla sopra menzionata disposizione e, inoltre, ciò che rileva ai fini in oggetto è la potenziale idoneità dei locali allo svolgimento delle attività della vita quotidiana. In tale ultima pronuncia i giudici di merito hanno fornito anche una “giustificazione” meramente giuridica, in base alla quale, la norma relativa all’agevolazione prima casa permette un’interpretazione “stretta” e non è ammessa alcuna attività ermeneutica di tipo analogico. In altri termini, a parere dei giudici di merito, nel caso di agevolazione prima casa non è ammessa un’applicazione estensiva dell’agevolazione stessa, rispetto alla verifica dei parametri, per effetto di attività interpretativa da parte del contribuente.

In conclusione, la circostanza che il concetto di superficie utile risulti essere privo di una specifica definizione giuridica, ai fini dell’agevolazione “prima casa” non deve far ritenere applicabili parametri diversi da quelli stabiliti dalla normativa di riferimento, quali ad esempio quelli urbanistici del Comune o della Regione ove è ubicato l’immobile. A tal proposito, infatti, la stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23591 del 20/12/2012, ha stabilito che “ per quanto riguarda la disciplina fiscale, deve concludersi che tale concetto vada individuato prescindendo dai criteri applicabili per la disciplina urbanistica, che ha oggettività giuridica diversa rispetto al rilievo costituzionale della capacità contributiva”.