La tassazione dei dividendi transnazionali
di Marco BargagliNell’ambito dei meccanismi di elusione fiscale internazionale spicca il “treaty shopping”, fenomeno mediante il quale soprattutto le imprese ad ampio respiro internazionale potrebbero attuare manovre di pianificazione aggressiva con lo scopo di ottenere, indebitamente, l’esenzione dal prelievo fiscale al momento del pagamento di flussi reddituali dall’Italia verso l’estero (tipicamente dividendi, interessi o royalties).
Nello specifico, sfruttando l’interposizione di mere “conduit company”, localizzate in Stati che hanno stipulato con l’Italia trattati internazionali o comunque direttive comunitarie particolarmente vantaggiosi, si riesce ad azzerare la ritenuta alla fonte (c.d. “withholding tax”) prevista dalla normativa domestica.
In tali circostanze, nella generalità dei casi, l’impresa interposta non risulta il beneficiario effettivo dei redditi che, in rapida scansione temporale, vengono retrocessi nei confronti di un altro soggetto economico, generalmente residente in Stati o territori Extra-Ue.
A tal fine, la comunità internazionale ha previsto particolari disposizioni anti-elusive e, in particolare:
- gli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi prevedono una specifica clausola antiabuso, denominata “beneficiario effettivo” o “beneficial owner”, espressamente contenuta negli articoli 10, 11 e 12 del modello di convenzione internazionale;
- l’articolo 26-quater D.P.R. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 143/2005 in recepimento della Direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003 (c.d. direttiva “Interessi-Canoni”), prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea, a condizione che il percettore estero sia il beneficiario effettivo dei redditi erogati;
- l’articolo 27-bis, comma 5, D.P.R. 600/1973, con specifico riferimento ai dividendi, prevede che la Direttiva (UE) 2015/121 del Consiglio, del 27 gennaio 2015, è attuata dall’ordinamento nazionale mediante l’applicazione dell’articolo 10-bis 212/2000 recante, come noto, disposizioni in tema di abuso del diritto;
- il Commentario al modello di convenzione Ocse, infine, considera beneficiario effettivo il percettore dei redditi che gode del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy) e non sia, conseguentemente, obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto, sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).
Ciò premesso, si riporta l’orientamento espresso nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità in tema di beneficiario effettivo e, in particolare, dalla suprema Corte di cassazione con la sentenza n. 32255/2018 del 13.12.2018 e con la sentenza n. 25490/2019 del 10.10.2019.
Sul punto si ricorda che i dividendi erogati nei confronti di un soggetto non residente sono soggetti ad un duplice trattamento fiscale:
- il regime del rimborso, in base al quale il soggetto residente che eroga i flussi reddituali opera la ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura indicata nell’articolo 27, comma 3-ter, D.P.R. 600/1973 (1,20%). In tale prima ipotesi, il soggetto controllante non residente che ha percepito i dividendi, potrà richiedere il rimborso della ritenuta subita;
- il regime dell’esenzione ex articolo 27-bis, comma 3, D.P.R. 600/1973: in tale secondo caso il soggetto residente, alle condizioni previste per l’applicazione della Direttiva madre-figlia (n. 90/435/CE), su richiesta del soggetto non residente, può azzerare l’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Gli Ermellini, con differenti motivazioni, hanno disapplicato i benefici previsti dalla Direttiva madre-figlia con particolare riguardo ai dividendi pagati da una società di diritto italiano nei confronti della propria controllante estera, residente in altro Stato dell’Unione Europea.
Nella sentenza n. 32255/2018, i Supremi Giudici hanno affermato che:
- l’articolo 27-bis D.P.R. 600/1973 che, come detto, prevede il regime di esenzione, non può essere applicato in quanto la società lussemburghese godeva dell’esenzione dei dividendi nel Paese di residenza, per cui non poteva cumulare tale beneficio con quello della restituzione della ritenuta subita sui dividendi in Italia. Infatti, la circostanza che in Lussemburgo “la società fosse soggetta all’imposta sui redditi non vale ad inficiare il ragionamento dei giudici di appello, poiché l’esenzione dei dividendi secondo la legge lussemburghese evita, comunque, che si possa verificare una doppia imposizione con l’effettuazione della ritenuta sui dividendi all’atto della distribuzione”. La ratio dell’articolo 27 bis D.P.R. 600/1973 è, infatti, quella di evitare una doppia imposizione; la sua applicazione non può risolversi nell’esclusione di ogni tassazione in ordine ai dividendi distribuiti alla società, avente sede legale in altro stato della Unione, che già benefici dell’esonero della tassazione sui dividendi nel Paese di residenza (cfr. ex multis, Corte di cassazione, sentenza n. 27111/2016 e sentenza n. 19567/2017).
Conformemente, nella più recente sentenza n. 25490/2019 del 10.10.2019, i giudici di piazza Cavour hanno posto in evidenza che l’articolo 2, par. 1 della richiamata Direttiva comunitaria madre-figlia prevede, ai fini dell’applicabilità della stessa, oltre alla presenza del domicilio fiscale della società in uno Stato membro, che la stessa “sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata alle imposte di seguito indicate, tra le quali, per quanto qui rileva, la impeit sur revenu des collectivités nel Lussemburgo. Orbene, come accertato dal giudice di merito, la società non ha versato alcuna imposta sui dividendi in Lussemburgo, avendo goduto della partecipation exemption”.