La valenza dei costi extracontabili in caso di accertamento
di Francesco Alex Astone
In caso di accertamenti induttivo-analitici o induttivo-puri, l’articolo 53 della Costituzione impone all’Agenzia delle Entrate l’obbligo di prendere in considerazione eventuali costi extracontabili che hanno contribuito a raggiungere il maggior reddito accertato.
Tale previsione è riproposta dall’articolo 109, comma 4, del TUIR il quale asserisce che “(…) le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi“.
La sentenza n. 3995/2009 della Corte di Cassazione è andata oltre al disposto del TUIR precedentemente citato. La Suprema Corte, cosciente della difficoltà – se non dell’impossibilità – di fornire la dimostrazione dell’esistenza di costi extracontabili, sostiene che: “… anche in caso di accertamento induttivo l’ufficio nell’accertare il reddito effettivo, qualora per determinati proventi non sia possibile addivenire ai costi, questi possono essere determinati induttivamente.”.
La scelta del metodo da applicare nella quantificazione dei costi non può essere operata in modo arbitrario. Sul punto si è espressa la sentenza n. 1166/2012 della Corte di Cassazione. I Supremi Giudici affermano la valenza insuperabile dell’articolo 109 del TUIR in caso di accertamenti analitico-induttivi mentre, nell’ambito degli accertamenti analitico-puri, il costo dovrà essere calcolato in modo induttivo (forfettario) dall’Agenzia delle Entrate stessa, prescindendo quindi dagli elementi certi e precisi richiesti dall’articolo 109 del TUIR.
Queste previsioni costituiscono il presupposto di base su cui improntare la difesa del contribuente dalle pretese dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso in cui una società riceva un avviso di accertamento, emesso induttivamente, nel quale i costi non siano presi in considerazione dall’Agenzia delle Entrate, la società potrà in primis, attraverso l’istituto dell’accertamento con adesione e, successivamente, attraverso un ricorso in Commissione Provinciale, farsi riconoscere i maggiori costi sostenuti. Ovviamente, in ambito di accertamento induttivo-analitico, la società dovrà provare che i costi presentino i requisiti della certezza e precisione mentre, nel caso di accertamento induttivo, si reputa necessaria se possibile una ricostruzione basata su fatture o documentazione contabile certa, facendo comunque riferimento all’incidenza dei costi indicata dalla stessa Agenzia delle Entrate nella Nota metodologica e tecnica dello Studio di settore.
Suddette prove sono da fornire anche se si è sottoposti a un accertamento induttivo-puro in quanto, come sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18016/2005: “… non è detto che sempre ed in ogni caso a ricavi occulti corrispondano costi occulti; si da il caso (e quindi è possibile sostenere con pari fondamento la corrispondente presunzione) che a ricavi occulti siano accompagnati costi dichiarati in misura maggiore del reale.”.
Si segnala infine la sentenza della Suprema Corte n. 1122/2013 nella quale viene fissata una linea di confine esistente tra l’accertamento induttivo puro e induttivo-analitico. La sentenza riconosce all’Agenzia delle Entrate la facoltà di applicare l’accertamento induttivo-analitico anche nel caso in cui ci fossero i presupposti tali da consentire il ricorso all’accertamento induttivo-puro. È inoltre previsto che, anche nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate utilizzi documentazione extra-contabile ai fini dell’accertamento, lo stesso potrà essere considerato come accertamento induttivo-analitico, sempre che le scritture contabili societarie non siano disattese (Cassazione n. 1166/2012).