La valutazione della diligenza dell’operatore in caso di frode Iva
di Marco PeiroloL’Avvocato generale presso la Corte di giustizia UE, nelle conclusioni relative alla causa C-329/18, presentate il 22 maggio 2019, è intervenuto in merito ai criteri per determinare, ai fini del diniego del diritto di detrazione dell’imposta, se l’operatore “sapeva o avrebbe dovuto sapere” di essere coinvolto in una frode Iva.
Le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono dirette a stabilire se un soggetto passivo debba essere privato del diritto di detrazione stante la presunta mancanza di diligenza, valutata con riferimento al suo comportamento in relazione agli obblighi ad esso e alle proprie controparti imposti dalle norme di settore in materia alimentare (nella specie, i Regolamenti CE n. 178/2002, n. 852/2004 e n. 882/2004).
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, in linea con l’obbligo generale delle Autorità fiscali nazionali di prevenire e combattere le frodi Iva, le Amministrazioni fiscali possono negare il diritto di detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo.
La situazione descritta si verifica non solo nel caso di frode commessa dallo stesso soggetto passivo, ma anche quando quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’Iva.
In questa evenienza, si considera che il soggetto passivo abbia partecipato alla frode, indipendentemente dalla circostanza che egli abbia o meno tratto beneficio dalla vendita dei beni.
Siccome il diniego della detrazione costituisce un’eccezione al diritto di recuperare l’imposta assolta in sede di acquisto o di importazione, spetta all’Amministrazione tributaria dimostrare in modo adeguato gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore nell’ambito della catena di fornitura.
L’onere della prova ricade, pertanto, sulle Autorità fiscali, dovendosi ritenere vietata la possibilità di ribaltare sull’operatore che intenda esercitare la detrazione l’effettuazione di verifiche che al medesimo non competono.
È la diligenza il fattore decisivo da prendere in considerazione, in quanto l’operatore che adotti tutte le misure che ad esso si possano ragionevolmente richiedere per assicurarsi che l’operazione non faccia parte di un’evasione deve poter fare affidamento sulla liceità dell’operazione senza rischiare di perdere il proprio diritto di detrazione.
Il livello di diligenza richiesto dipende dal contesto. Nella giurisprudenza della Corte europea, è stato costantemente affermato che le misure che possono essere ragionevolmente imposte ad un soggetto passivo dipendono dalle circostanze della fattispecie concreta.
In effetti, il contesto fattuale specifico può essere tale da richiedere al soggetto passivo una diligenza elevata (per esempio, con riferimento al valore dei beni) e, qualora sussistano indizi che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, gli operatori potrebbero, a seconda delle circostanze specifiche, dover assumere informazioni sulle controparti al fine di sincerarsi della loro affidabilità.
Come sottolineato dall’Avvocato UE, occorre considerare due aspetti: “in primo luogo, sinora l’elemento del livello di diligenza in funzione del contesto si è incentrato su diversi contesti fattuali, ma sempre nell’ambito della direttiva Iva e del suo regime giuridico. In secondo luogo, la giurisprudenza della Corte in merito al livello di diligenza richiesto ha anche chiarito che, persino quando vi sono indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità, l’amministrazione tributaria non può esigere, in modo generalizzato, che i soggetti passivi, da un lato, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità, verifichino che gli emittenti delle fatture dispongano dei beni o siano in grado di fornirli e che abbiano soddisfatto i propri obblighi in materia di Iva, o, dall’altro, dispongano della relativa documentazione”.
Gli obblighi imposti dalla normativa relativa al settore alimentare riguarda, da un lato, la tracciabilità degli alimenti e, dall’altro, la registrazione dello stabilimento di produzione degli alimenti.
In esito all’esame compiuto dall’Avvocato UE, “l’inosservanza di obblighi settoriali posti a carico di un soggetto passivo ma non previsti dalla normativa Iva, come l’obbligo di tracciabilità di cui all’articolo 18 del regolamento n. 178/2002, non è di per sé determinante per negare il diritto alla detrazione dell’Iva a monte. In altri termini, il potenziale inadempimento di detti obblighi settoriali non può essere automaticamente assimilato alla constatazione che il soggetto passivo avrebbe dovuto sapere che l’operazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva. A condizione che la normativa settoriale imponga effettivamente a un soggetto passivo un obbligo giuridico chiaro e più ampio di identificare le controparti contrattuali, l’inosservanza di tali obblighi settoriali può rientrare nella valutazione generale che il giudice del rinvio è tenuto a svolgere come uno dei fattori oggettivi per determinare quali misure possano essere imposte a un siffatto soggetto passivo perché si accerti che le sue operazioni non si iscrivono nell’evasione dell’Iva commessa da uno dei suoi fornitori”.
Il diritto di detrazione, inoltre, non può neppure essere subordinato alla previa verifica, da parte del cessionario, dell’iscrizione del cedente negli appositi registri nazionali istituiti nel settore della sicurezza alimentare.
Sul punto, come rilevato dall’Avvocato generale, “l’articolo 6 del regolamento n. 852/2004 e l’articolo 31 del regolamento n. 882/2004 non impongono agli operatori del settore alimentare di verificare la registrazione dei propri partner commerciali nel pertinente registro delle imprese alimentari. A maggior ragione, nell’ambito del diritto alla detrazione dell’Iva, la mancata verifica della suddetta registrazione è irrilevante ai fini di determinare se la parte in questione sapeva o avrebbe dovuto sapere di essere coinvolta in un’operazione con un’impresa fittizia”.