27 Novembre 2017

La valutazione della partecipazione in caso di recesso del socio

di Fabio Landuzzi
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In caso di recesso da società per azioni, ai sensi dell’articolo 2437-ter, comma 2, cod. civ., quando non si ha a disposizione un valore di mercato delle azioni, il valore di liquidazione delle azioni del socio receduto deve tener conto della “consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali”.

Il caso in esame si colloca nell’ambito di quella tipologia di valutazioni che i Principi Italiani di Valutazione (PIV) identificano con il termine di “valutazioni legali” ossia “valutazioni disciplinate dal Codice civile, per le quali i valori oggetto di stima sono in certa misura convenzionali”. Il valutatore opera quindi in un contesto in cui dovrebbe tendere a ridurre, per quanto possibile, le diversità interpretative al fine di assicurare la massima correttezza ed equità della configurazione di valore a cui perviene, tenuto conto che lo scopo di tale operazione è quello di tutelare i soci ed in generale tutti gli stakeholders della società.

Un primo step del processo valutativo riguarda l’esatta individuazione della cd. “unità di valutazione” di riferimento: nel caso del recesso, si tratta dell’azienda nella sua interezza, con la conseguenza che il valore delle azioni del socio receduto si determina pro-quota senza applicare premi di maggioranza o sconti di minoranza. Sono invece da considerare gli sconti che sono riferiti all’azienda nel suo complesso, ossia quelli che attengono ad esempio a società immobiliari, holding di partecipazione oppure sconti dovuti alla presenza di persone chiave od infine ad una struttura finanziaria e di liquidità non equilibrata.

Il secondo step del processo valutativo riguarda la configurazione del valore assunta ai fini della stima. Nel caso del recesso, tale configurazione corrisponde al valore intrinseco dell’azienda al momento della valutazione stessa, in quanto deve rappresentare la misura della ricchezza a cui il socio rinuncia con la fuoriuscita dalla compagine sociale, mentre non deve essere influenzata dagli effetti che possono derivare proprio dalla decisione che ha innescato la causa del recesso.

Un punto non sempre definito con chiarezza riguarda il momento a cui riferire la valutazione. Secondo una parte della dottrina (ad esempio, si veda il Documento della Fondazione Nazionale dei Commercialisti del 30 aprile 2015) si dovrebbe applicare in via analogica, quando il recesso è legittimato da “fatti”, il riferimento di cui all’articolo 2473, comma 3, cod. civ., per il quale il momento a cui riferirsi è quello nel quale il diritto di recesso viene esercitato, mentre quando il recesso viene legittimato dall’assunzione di una delibera assembleare, tale momento coinciderebbe con il quindicesimo giorno anteriore all’assemblea così come disposto dall’articolo 2437-ter, comma 5, cod. civ..

Il terzo step riguarda la scelta del metodo di valutazione, ed a tale riguardo i PIV mettono a disposizione ogni tecnica disponibile, sia di mercato, che di flusso ispirata al costo.

La prima delle tre tecniche appena elencate – il cd. market approach – tende a valutare l’azienda avendo riguardo alla sua comparazione con altre realtà similari e quindi comparabili per le quali siano disponibili informazioni circa i prezzi applicati sul mercato in transazioni recenti. È chiaro che l’affidabilità di un simile approccio dipende significativamente dalla disponibilità di transazioni aventi per oggetto aziende realmente comparabili a quella oggetto di valutazione, ed anche alla capacità di isolare da questa comparazione l’effetto di sinergie legate proprio alla specifica operazione.

La seconda tecnica, basata sulla attualizzazione di flussi attesi, si basa sulla presunta capacità dell’impresa di generare nel futuro flussi reddituali o finanziari.

La terza tecnica, invece, quella del costo, intende misurare il valore dell’azienda nella prospettiva del costo di sostituzione.

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