La valutazione dell’aliquota nominale del trust estero che consegue esclusivamente redditi finanziari
di Ennio VialCome ormai noto, la lettera g sexies) del comma 1 dell’articolo 44 Tuir prevede che sono soggetti a tassazione anche i beneficiari italiani di trust esteri opachi, tuttavia nel rispetto di questi due requisiti:
- il reddito risulta effettivamente percepito (tassazione per cassa);
- il trust estero è considerato paradisiaco ai sensi dell’articolo 47 bis Tuir nell’anno di maturazione del reddito.
La circolare 34/E/2022 precisa che, per determinare se il trust è paradisiaco, si deve confrontare il livello di tassazione nominale estero con il 50% del livello nominale di tassazione Ires, ossia la soglia del 12%. Ovviamente, se esaminiamo redditi pregressi si pone il problema di determinare le aliquote Ires applicabili nell’anno di riferimento.
Nella circolare è presente il seguente paragrafo che fornisce chiarimenti in merito al caso del trust che detiene investimenti di portafoglio che, se gestiti in Italia da parte di un trust residente, sarebbero generalmente soggetti alla tassazione sostitutiva del 26%.
L’Agenzia, in particolare, chiarisce che “Per i trust non commerciali che producono esclusivamente redditi di natura finanziaria, occorre confrontare il livello nominale di tassazione del Paese ove è stabilito il trust non residente con quello applicabile in Italia sui redditi di natura finanziaria soggetti alle imposte sostitutive o alle ritenute alla fonte a titolo di imposta vigenti nel periodo d’imposta assunto ai fini del confronto (generalmente nella misura del 26 per cento), facendo sempre riferimento al momento della produzione del reddito distribuzione”.
Purtroppo l’indicazione non brilla per chiarezza. Innanzitutto si pone il problema di capire cosa si intende per redditi di natura finanziaria, atteso che il trust non commerciale è assoggettato a tassazione sulle sei categorie di reddito come una persona fisica, ma tra queste non è contemplata quella dei redditi finanziari che, generalmente, rientrano tra i redditi di capitale o i redditi diversi.
Ci si può chiedere se i dividendi ricevuti da una società non negoziata in mercati regolamentati, o il reddito imputato per trasparenza possano essere qualificati come redditi finanziari. Supponiamo, quanto meno per ragioni prudenziali, di dare una risposta positiva.
Leggendo bene il passaggio della circolare già riportato, si deve confrontare il livello di tassazione nominale estero “con quello applicabile in Italia sui redditi di natura finanziaria soggetti alle imposte sostitutive o alle ritenute alla fonte a titolo di imposta”.
Emerge da subito il dubbio che il confronto vada fatto considerando l’aliquota del 26% in luogo di quella Ires del 24%.
La tesi non è tuttavia accettabile in quanto le aliquote da considerare sono quelle “vigenti nel periodo d’imposta assunto ai fini del confronto (generalmente nella misura del 26 per cento), facendo sempre riferimento al momento della produzione del reddito distribuzione”. Poiché il riferimento al 26% non appare assoluto in quanto, se si trattasse di titoli di Stato Comunitari, si dovrebbe valutare il 12,5%, dobbiamo concludere che l’aliquota del 26% non può essere presa come rifermento.
Poiché in Italia i dividendi percepiti dalla società non quotata ed il reddito imputabile nel quadro H scontano in capo al trust ente non commerciale opaco l’Ires al 24%, ma non sono soggetti a tassazione sostitutiva, la casistica dovrebbe essere esclusa.
A questo punto possiamo ragionevolmente affermare che la società non detiene esclusivamente redditi finanziari confrontabili per cui l’unica aliquota da confrontare dovrebbe essere l’Ires al 24%.
Ad ogni buon conto, qualora per motivi prudenziali decidessimo di usare la soglia del 26% per i redditi da investimenti di portafoglio, dovremmo chiaramente escludere i dividendi ed il quadro H per i quali dovremmo considerare la soglia del 12%.