La vendita in esenzione senza variazione del pro rata produce rettifica?
di Comitato di redazioneUna delle norme certamente più spinose del comparto Iva è l’articolo 19-bis2, disposizione che descrive l’istituto della rettifica della detrazione. Il concetto di fondo è abbastanza chiaro: il sistema legittima la detrazione immediata dell’Iva sugli acquisti sostenuti nell’esercizio dell’attività (nel rispetto delle specifiche condizioni e nei limiti eventualmente previsti in modo oggettivo e soggettivo) ma, nel rispetto della condizione di destinazione dell’acquisto stesso alla effettuazione di operazioni attive rilevanti, la subordina al monitoraggio nel tempo, con la possibilità di obbligo di restituzione di parte dell’Iva legittimamente detratta, oppure di accredito di parte dell’Iva a suo tempo non detratta.
Il rapido inquadramento ha il solo scopo di evocare il caso delle imprese edili che, avendo edificato dei fabbricati detraendo l’Iva sugli acquisti, li vadano a:
- locare in esenzione;
- cedere in esenzione;
con ovvia esclusione dei casi in cui le operazioni siano (per obbligo o per opzione) da assoggettare ad imposta.
In tal caso, scattano due particolarità della norma: innanzitutto il fabbricato è comunque considerato bene ammortizzabile, a prescindere dalla collocazione in bilancio ed, in secondo luogo, il periodo di osservazione per l’applicazione della rettifica è pari a 10 anni (l’anno di acquisto o ultimazione ed i nove successivi).
Nel caso della locazione esente, in capo all’impresa si produce un pro rata di detrazione e, quando il risultato si discosti di almeno 10 punti percentuali rispetto a quello dell’anno di acquisto o di ultimazione, è necessario rettificare (a favore o sfavore) la detrazione in misura pari alla differenza tra il pro rata storico e quello dell’esercizio, in misura di un decimo. Tale conteggio, si ripeterà per ciascuna delle annualità residue al completamento del periodo di osservazione.
Tutto sommato, dunque, la gestione della rettifica nel caso delle locazioni non è posta in dubbio, nel senso che appare pacifico che l’assenza di scostamento sensibile del pro rata inibisce qualsiasi obbligo; rimane da ricordare che, invece, la rettifica può essere facoltativamente esercitata in caso di variazione di pro rata inferiore, pur con l’avvertenza che poi dovrà essere mantenuta (a questo punto per obbligo), anche nella annualità successive.
Le cose cambiano quando l’operazione esente che innesca il problema è invece una cessione; la differenza sostanziale sta nel fatto che l’operazione è di tipo istantaneo e, per converso, eventuali sistemazioni dovranno essere definitive e non “spalmate” nel tempo.
Vi possono essere allora due casistiche:
- pro rata dell’anno di cessione con variazione sensibile di oltre 10 punti rispetto a quello di riferimento;
- pro rata dell’anno di cessione con variazione inferiore alla misura sensibile.
Nel primo caso nessuna difficoltà: la fonte di innesco è palese e, dunque, si dovrà rettificare in unica soluzione la intera differenza di Iva (a favore del contribuente o del fisco) in misura pari a tanti decimi quanti sono gli anni mancanti al completamento del periodo di osservazione.
Ad esempio:
- Iva su acquisto detratta pari a 1.000 (interamente detratta)
- pro rata di riferimento anno di cessione pari a 50%
- Iva effettivamente detraibile: 500 (1.000 x 50%)
- Iva teorica da restituire: 1.000 – 500 = 500
- anni mancanti al completamento del decennio: 3
- Iva effettiva da restituire: 500 : 10 x 3 = 150.
E’ appena il caso di notare che la suddetta rettifica (evocata dal comma 4) è di tipo generale e, per conseguenza, andrà applicata a tutti i beni ammortizzabili presenti in azienda, e non solo a quello oggetto di cessione.
I problemi sorgono nella seconda ipotesi, quando manca la fonte di innesco “certa” della variazione sensibile del pro rata.
In tal caso, vi sono due possibili approcci:
- ritenere non dovuta la rettifica, nell’ambito del procedimento forfetario del pro rata;
- ritenere comunque dovuta la rettifica, in forza di una presunta rettifica specifica contenuta nel comma 6 dell’articolo 19-bis2.
La prima soluzione piace certamente più agli operatori, mentre la seconda sembra invece più equilibrata su un piano equità del sistema. Infatti, la detrazione a monte dell’Iva dovrebbe essere accompagnata da una conferma solo nel caso in cui il bene sia effettivamente destinato all’effettuazione di operazioni rilevanti, cosa che invece non accade nel caso specifico, a seguito della cessione esente.
Dunque, non resta che concludere che, a livello di sistema, appare più corretta la seconda soluzione, con conseguente necessità di rettifica della detrazione.
Mutuando l’esempio precedente, si avrebbe:
- Iva su acquisto detratta pari a 1.000 (interamente detratta),
- pro rata di riferimento anno di cessione pari a 95%,
- Iva effettivamente detraibile: 950 (1.000 x 95%)
- Iva teorica da restituire: 1.000 – 950 = 50
- anni mancanti al completamento del decennio: 3
- Iva effettiva da restituire: 50 : 10 x 3 = 15.
Ciò ovviamente determinerà ripercussioni non solo di natura finanziaria, ma anche di natura economica sul bilancio della società. Infatti, quanto restituito rappresenta un vero e proprio costo in precedenza non stimato, con conseguente compressione dell’utile derivante dalla singola operazione.