La verifica della sproporzione dei beni nella confisca
di Luigi FerrajoliIl D.Lgs. 159/2011, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, stabilisce, all’articolo 1, comma 1, lett. b), l’applicazione dei provvedimenti ivi contenuti, tra gli altri, a coloro che, per la loro condotta ed il loro tenore di vita, debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con proventi derivanti da attività delittuose.
Tra le misure previste è presente la confisca, secondo quanto disposto dall’articolo 24 del medesimo Decreto. In particolare, a mente di quanto indicato al primo comma della citata norma, il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati della persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, che non possa giustificare la legittima provenienza dei beni in parola e/ risulti essere, anche per interposta persona fisica o giuridica, titolare (o avere la disponibilità):
- di beni, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato al proprio reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito (o alla propria attività economica);
- di beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
In ogni caso il proposto non può giustificare la legittima provenienza dei beni, adducendo che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale.
Secondo la Corte di Cassazione, ciò non comporta che in sede di merito debba accertarsi in modo specifico l’entità del profitto correlato ad ogni condotta delittuosa, così da trasformare la confisca di prevenzione in una tipologia di confisca “pertinenziale” poiché, stabilita anche la semplice incidenza del reddito illecito sul mantenimento del tenore di vita, soccorre il presupposto concorrente della “sproporzione” tra redditi leciti e valore degli investimenti realizzati nel periodo, ai fini di individuazione dei beni confiscabili. Il parametro della sproporzione, congiuntamente alla constatazione delle reiterate attività illecite, consente dunque di ipotizzare che la formazione del patrimonio non giustificato abbia derivazione da attività illecite similari.
La “sproporzione” di valori, come chiarito più volte dalla giurisprudenza di legittimità, è una “semplificazione probatoria” consentita dal sistema, rispetto all’accertamento “pieno” del nesso di derivazione tra:
- attività illecita, censita in sede di ricognizione della pericolosità, e;
- impiego delle risorse in tal modo prodotte.
La circostanza che la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o all’attività economica, da mero indicatore dell’origine illecita dei beni, come era nella disciplina originaria del 1982, sia stato elevato, a partire dal 1993, a requisito alternativo e autonomo rispetto alla dimostrazione dell’origine illecita stessa, non modifica la ratio delle misure in oggetto. La verifica giudiziale della sproporzione, infatti, continua ad avere senso in quanto idonea a fondare una ragionevole presunzione relativa all’origine illecita del bene, allorché contestualmente risulti dimostrata la pregressa attività criminosa di colui il quale abbia la disponibilità del bene e costui, in sede di valutazione dei presupposti della confisca, non riesca a giustificarne la legittima provenienza.
Da ciò consegue che la confisca, nel caso in cui venga rispettato il parametro della correlazione temporale tra momento acquisitivo e condizione tipica di pericolosità, può legittimamente colpire beni di valore complessivo superiore a quello del profitto dei reati accertati, in presenza della sproporzione di valore tra reddito e investimenti nel periodo di riferimento.
È dunque fondamentale, ad avviso della Corte di Cassazione, individuare il dies a quo della condizione soggettiva di pericolosità tipica, in modo conforme agli orientamenti nomofilattici.
In sede di verifica della pericolosità sociale del soggetto proposto per l’applicazione della confisca di prevenzione, il Giudice deve, infatti, rinvenire il momento iniziale della suddetta pericolosità, al fine di sostenerne la correlazione con l’acquisto dei beni, sulla base non della constatazione di condotte genericamente indicative della propensione al delitto, ma dell’apprezzamento di condotte delittuose corrispondenti al tipo criminologico della norma che intende applicare, individuando il momento in cui le stesse abbiano raggiunto consistenza e abitualità tali da consentire, già all’epoca, l’applicazione della misura di prevenzione. Proprio per difetto di tale individuazione, la Suprema Corte, con la sentenza n. 20595/2023, ha ritenuto di annullare il relativo decreto impugnato dagli imputati.
12 Settembre 2023 a 11:53
ottimo