La verifica delle ritenute negli appalti promiscui degli enti non commerciali
di Cristoforo FlorioStefano LizzaniIl nuovo regime di verifica, da parte del committente, delle ritenute operate e versate dagli appaltatori e dai subappaltatori previsto dall’articolo 17-bis D.Lgs. 241/1997, recentemente introdotto dal D.L. 124/2019, è applicabile – tra gli altri – a tutti gli enti e le società indicati nell’articolo 73, comma 1, Tuir.
Tra questi vi sono anche gli enti non commerciali (pubblici e privati), ivi inclusi gli enti della Pubblica Amministrazione a carattere non economico.
A livello legislativo, non sussistono ulteriori requisiti soggettivi richiesti per l’applicazione del nuovo regime, tant’è che esso risulterebbe applicabile tout court agli enti non commerciali, a prescindere dall’attività da questi svolta (commerciale o istituzionale).
Del resto, la finalità della nuova normativa è quella di contrastare “(…) l’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali, prevedendo nuovi adempimenti, a carico di committenti, appaltatori, subappaltatori, affidatari e altri soggetti che abbiano rapporti negoziali comunque denominati (…)” (cfr., in tal senso, la circolare AdE 1/E/2020).
Seguendo la ratio della nuova normativa, nonché il suo tenore letterale, non vi sarebbe quindi motivo di escludere gli enti non commerciali dai nuovi adempimenti, neanche in relazione alle attività istituzionali da questi svolte.
Questi enti infatti, a prescindere dall’attività svolta, sono certamente inclusi tra i soggetti di cui al citato articolo 73 e ben potrebbero svolgere, in qualità di committenti, un’attività di verifica delle ritenute operate e versate dai propri appaltatori, anche nell’ambito della propria attività istituzionale, contribuendo, in tal modo, a contrastare i suddetti fenomeni di evasione.
Ciò nonostante, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto di dover escludere dal nuovo regime proprio gli enti non commerciali (pubblici e privati) con riferimento agli appalti e agli altri affidamenti svolti nell’ambito delle loro attività istituzionali (attività non commerciali ai fini delle imposte sui redditi).
Nella recente circolare 1/2020 si legge, infatti, che “(…) sono da escludersi dall’ambito di applicazione del comma 1 dell’articolo 17-bis gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust ecc.) limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta (…)”.
Ora, aderendo alla tesi dell’Agenzia, si dovrebbe quindi creare, all’interno di ciascun ente non commerciale, un discrimine tra gli affidamenti relativi all’attività istituzionale (non commerciale o decommercializzata) e quelli relativi alle eventuali attività commerciali svolte. Solo a tali ultimi rapporti risulterebbe applicabile, in presenza degli ulteriori requisiti richiesti dalla norma, il nuovo regime.
La questione che qui si pone attiene, però, ai contratti ed affidamenti promiscui, che dovessero cioè riferirsi sia all’attività istituzionale che a quella commerciale.
Si pensi, ad esempio, a tutti quei servizi generali che sono indistinguibilmente afferenti alle due anime dell’ente, quali i servizi di pulizia, vigilanza, mensa, assistenza software, ecc..
Ebbene, seguendo l’interpretazione dell’Agenzia, tali contratti non potrebbero essere esclusi dalla nuova normativa in quanto afferenti (anche) all’area commerciale dell’ente.
È opinione di chi scrive che, per tali tipi di contratti, la quantificazione dell’importo complessivo annuo da confrontare con la soglia di 200.000 euro oltre la quale risulta applicabile il nuovo regime, debba avvenire utilizzando le percentuali di deducibilità dei costi promiscui, di cui all’articolo 144 Tuir.
Tale disposizione stabilisce infatti che “(…) le spese e gli altri componenti negativi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e di altre attività, sono deducibili per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi (…)”.
Trattasi di un criterio forfetario per la determinazione della parte commerciale (deducibile) dei costi promiscui e quindi, si ritiene, valido anche per la determinazione dell’importo annuo dei suddetti contratti per la parte afferente all’area commerciale.
Pertanto, qualora l’importo complessivo annuo “commerciale” del singolo contratto promiscuo dovesse superare la soglia dei 200.000 euro, le nuove disposizioni dovrebbero risultare applicabili, in presenza degli ulteriori requisiti richiesti dalla norma, con riferimento all’intero affidamento, anche per la parte afferente all’area istituzionale.
Risulterebbe, del resto, pressoché impossibile adempiere a tutti gli obblighi previsti dalla nuova normativa con riferimento alla sola quota commerciale del contratto.
Si auspica che in tempi rapidi l’Agenzia delle Entrate fornisca un chiarimento sul tema in questione, al fine di consentire agli enti interessati, inclusi quelli della Pubblica Amministrazione, l’implementazione di procedure interne e l’adozione di adeguate previsioni contrattualistiche che consentano di applicare correttamente e senza rischi i nuovi adempimenti previsti per contrastare l’omesso o insufficiente versamento, anche mediante indebita compensazione, delle ritenute fiscali.