La verifica dello status del committente per i servizi digitali
di Marco PeiroloLe novità territoriali introdotte dall’art. 1 del D.Lgs. n. 42/2015 riguardano i servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici resi nei rapporti “B2C”, ossia a consumatori finali che non sono o che non dichiarano di essere soggetti passivi d’imposta.
In particolare, a seguito della modifica dell’art. 7-sexies, comma 1, lett. f) e g) del D.P.R. n. 633/1972, si considerano soggette a IVA in Italia, se rese a committenti non soggetti passivi d’imposta, “le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero” (lett. f) e “le prestazioni di telecomunicazione e di teleradiodiffusione, quando il committente è domiciliato nel territorio dello Stato o ivi residente senza domicilio all’estero e sempre che siano utilizzate nel territorio dell’Unione europea” (lett. g).
Sono state, inoltre, abrogate le lett. h) e i) dell’art. 7-septies del D.P.R. n. 633/1972, che non consideravano effettuate nel territorio dello Stato, quando rese a committenti non soggetti passivi domiciliati e residenti fuori dell’Unione europea, “i servizi di telecomunicazione e di teleradiodiffusione, esclusi quelli utilizzati nel territorio dello Stato ancorché resi da soggetti che non siano ivi stabiliti” (lett. h) e “i servizi prestati per via elettronica” (lett. i).
In base alla nuova normativa, l’imponibilità dei servizi digitali avviene nel luogo del committente, individuato ricorrendo ad un triplice criterio, basato sul domicilio, sulla residenza senza domicilio all’estero e sull’utilizzo nel territorio dell’Unione europea.
Il legislatore nazionale, infatti, ha recepito non solo i criteri territoriali previsti dall’art. 58 della Direttiva n. 2006/112/CE, che “agganciano” la territorialità dei servizi digitali al luogo in cui il committente è stabilito, ha il proprio indirizzo permanente o la propria residenza abituale, ma ha anche esercitato – sia pure parzialmente, con esclusivo riferimento ai servizi di telecomunicazione e di teleradiodiffusione – la facoltà prevista dall’art. 59-bis della citata Direttiva, escludendo da imposizione le prestazioni di telecomunicazione e di teleradiodiffusione rese a committenti domiciliati o residenti in Italia, ma utilizzate al di fuori dell’Unione europea.
Anche se, a seguito delle modifiche novellate dal D.Lgs. n. 42/2015, i criteri territoriali applicabili ai servizi “B2C” sono stati equiparati a quelli relativi ai servizi “B2B”, resta imprescindibile, per il fornitore nazionale, verificare lo status del cliente non residente, in modo da individuare il soggetto tenuto ad assolvere l’imposta nel Paese di consumo e ad adempiere i connessi obblighi “formali”.
La qualifica del destinatario deve essere determinata attraverso i criteri presuntivi definiti dall’art. 18 del Reg. UE n. 282/2011, così come riformulati dal Reg. UE n. 1042/2013 con effetto dal 1° gennaio 2015.
In particolare, è stato previsto che il fornitore, anche se dispone di informazioni contrarie, può considerare che il cliente stabilito nell’Unione europea sia una persona priva di soggettività passiva d’imposta se quest’ultimo non gli ha comunicato il proprio numero di identificazione IVA.
La disposizione in esame, contenuta nell’art. 18, par. 2, comma 2, del Reg. UE n. 282/2011, intende semplificare gli obblighi impositivi per i servizi digitali, di norma erogati ad un numero elevato di clienti e a fronte di un corrispettivo di modesto importo. La norma, quindi, si pone in deroga ai criteri ordinari previsti dallo stesso art. 18, che consentono al fornitore, salvo che disponga di informazioni contrarie, di presumere che il cliente stabilito nell’Unione europea:
- sia un soggetto passivo d’imposta se gli ha comunicato il proprio numero di partita IVA (art. 18, par. 1), ovvero, al contrario
- non sia un soggetto passivo d’imposta se non gli ha comunicato il proprio numero di partita IVA (art. 18, par. 2, comma 1).
Dal tenore letterale della nuova disposizione si desume che la deroga opera facoltativamente, nel senso che il fornitore può (e non deve) considerare come “privato consumatore” il cliente comunitario non residente che non gli abbia comunicato il proprio numero di identificazione IVA. Va da sé che la possibilità di qualificare il destinatario del servizio come un soggetto passivo d’imposta implica, per il fornitore, l’onere di dimostrare l’effettivo status del cliente.
Il 6° Considerando del Reg. UE n. 1042/2013 fa riferimento all’ipotesi in cui il fornitore, che abbia qualificato il cliente come un soggetto non passivo d’imposta, riceva da quest’ultimo la comunicazione del proprio numero di partita IVA. In questa eventualità, si afferma che, conformemente alle norme generali, lo status originario del destinatario del servizio deve essere modificato, non essendo più il fornitore il debitore d’imposta per il servizio reso.
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